Ad affermarlo è Franco Denti, presidente dell’Ordine dei medici: «Il suo non era più uno stress positivo».
«La sera prima dell’arresto cardiaco l’avevo incontrato a Locarno. Era stanco. Così come era stanco da settimane. In Ticino si fanno troppi linciaggi. È capitato anche a me».
LUGANO - Sono ancora tante, tantissime, le domande sulla morte del sindaco di Lugano, Marco Borradori. «La mia sveglia di regola suona alle 6.30 - aveva raccontato qualche anno fa lo stesso Borradori a Tio/20Minuti - e non sono mai a casa prima delle 23». Sì. Perché un politico è spesso come su un treno in corsa in cui ci sono poche stazioni. Le settimane sono sature d'impegni. «Ma va fatta una distinzione – sostiene Franco Denti, presidente dell'Ordine dei medici ticinesi ed ex granconsigliere –. C'è lo stress positivo che ti permette, sulle ali dell'adrenalina, di reggere tante cose. E poi c'è quello negativo, che ti annichilisce. Io li ho vissuti entrambi e so di cosa parlo».
Quando ha visto Borradori per l’ultima volta?
«La sera prima dell’arresto cardiaco a Locarno. Era stanco. Così come appariva stanco da settimane».
Il suo amico Andrea Leoni al funerale ha fatto un chiaro riferimento alla questione dell’ex Macello. Da medico come la vede?
«Non voglio azzardarmi a dire che Borradori sia morto a causa di quello. Ma ha sicuramente avuto un peso sul suo stato di salute psicofisico generale. Gli è piombato addosso qualcosa di diverso, d'imprevisto. Improvvisamente si è ritrovato colpevolizzato a priori e indifeso».
Prima ha accennato alla sua esperienza personale. A cosa si riferiva?
«Nel 2019 quando mi sono ricandidato per la terza volta per il Gran Consiglio qualcuno mi fece i conti in tasca. Sostenendo che guadagnassi troppo. Sono stato demolito. Tritato. Quando passi sui giornali come un ladro senza avere rubato neanche un centesimo è orribile. Mollai anche la campagna elettorale. Non aveva più senso continuare per me. Borradori non poteva lasciare, ma si vedeva che soffriva per il fatto di non essere creduto. Si fanno davvero troppi linciaggi in Ticino».
La giustizia doveva fare luce sulle dinamiche dell’abbattimento del Molino. O no?
«Certo. Succede spesso così. Al processo poi salta fuori che uno è innocente, ma intanto è stato attaccato sul personale per mesi e mesi. La gente così si logora».
Borradori però era un politico navigato, con le spalle larghe almeno in apparenza.
«Era uno schietto. Non amava i sotterfugi e neanche la cultura del sospetto. Voleva sempre essere trasparente. Solo che in questa società mediatizzata una volta che finisci nel tritacarne è dura uscirne. Senza contare l’effetto devastante dei social network».
Un politico oggi deve essere pronto anche a questo?
«In realtà è la società che dovrebbe cambiare atteggiamento. Il rispetto deve sempre esserci, anche nella critica. E non mi sta neanche bene sentire che "sono le regole del gioco". Non dimentichiamo che tanta gente è andata a urlargli cose orribili sotto casa. Questo non è giocare in maniera pulita. Borradori è stato letteralmente travolto da un’ondata di negatività. Faceva la sua parte pirandelliana, ma non era più quello di prima».