Un singolare striscione fa la sua comparsa davanti alla sede di Manno del sindacato
Giangiorgio Gargantini: «Mi pare chiaro che non sono stati i driver ad averlo esposto, ma "padroncini" intimoriti dal nostro lavoro»
LUGANO - Dopo la polemica scoppiata attorno al nuovo contratto proposto ai driver di Divoora, uno strano striscione ha fatto la sua comparsa davanti alla sede di Unia, in via Vedeggio, a Manno. L'affissione, presto rimossa, era rivolta proprio al sindacato che, negli scorsi giorni, ha criticato l'inattesa e svantaggiosa modifica contrattuale proposta a un soffio dall'entrata in vigore della legge sul salario minimo.
«Unia dove sei?», recitava tuttavia lo scritto anonimo rimosso in giornata. Quindi proseguiva con un elenco puntuale: «Vi siete chiesti cosa vogliamo veramente noi driver? No! 1. Contratti non vincolanti. 2. Pagamento a cottimo con un minimo garantito».
«Il messaggio di uno dei "padroncini" in difficoltà» - Parole, queste, che hanno fatto storcere il naso al segretario di Unia, Giangiorgio Gargantini: «Mai visti dei lavoratori che avanzano richieste simili. Questo è il messaggio di uno dei "padroncini" del settore che si sente minacciato dal nostro lavoro», commenta interpellato da Tio/20 Minuti.
Per il sindacalista, infatti, il caso Divoora non è un unicum: «Un mercato esploso nel periodo Covid, con il lockdown, evidentemente tenderà a ridimensionarsi con il graduale ritorno alla normalità. Non si può però far pagare questa contrazione ai lavoratori. Le leggi ci sono e devono essere rispettate», aggiunge. Gargantini promette di prendere contatto con l'azienda nei prossimi giorni «dopo ulteriori discussioni con i lavoratori».
Il caso - Il bubbone è esploso lo scorso venerdì, dopo la comparsa di un nuovo contratto di lavoro sottoposto dalla società di food delivery ticinese ai propri dipendenti, senza preavviso, con la richiesta di sottoscrizione entro le 24 ore. Il contratto, di fatto, limitava la retribuzione del fattorino ai soli momenti della consegna del cibo, lasciandolo con un pugno di mosche per il restante tempo in attesa.
Una modifica, aveva fatto sapere la ditta, dovuta a questioni di «natura informatica». Giustificazione, questa, irrisa anche dal sindacato Ocst che, criticando la retribuzione «al minuto» aveva chiaramente parlato di «nuove frontiere della precarietà, nicchie di disperazione occupate da chi non ha alternative e cui non vengono riconosciuti i diritti più basilari».