Il procuratore generale Andrea Pagani spiega perché nella demolizione dell'ex Macello non ci sono colpevoli
LUGANO - Ventisette. Sono le pagine che compongono il decreto d'abbandono intimato alle parti dopo la chiusura dell'inchiesta sulla discussa “notte delle ruspe”, che tra il 29 e il 30 maggio sul sedime dell'ex Macello di Lugano ha visto la demolizione dello stabile utilizzato dall'autogestione cittadina. Ventisette pagine da cui emerge che per quei fatti non vi sono responsabilità penali, da parte di nessuno.
È vero, in una mail datata 12 marzo 2021 si ventilava la possibilità di abbattere completamente l'edificio in questione. «Ma si trattava di una tra le mille ipotesi operative avanzate dallo Stato Maggiore costituito per pianificare e gestire lo sgombero» come ci spiega il procuratore generale Andrea Pagani, mostrandoci un il relativo documento di quattro pagine contenente un lungo elenco di “pendenze” e “analisi”. E c'è di più: poche settimane dopo quella lista era comunque finita in un cassetto.
La decisione di sgomberare e la revoca - Tutto ha avuto inizio con la manifestazione non autorizzata andata in scena lo scorso 9 marzo alla stazione di Lugano. A seguito del fatto, le autorità hanno cominciato a parlare di sgombero. E due giorni dopo, il Municipio ha deciso di pianificare il provvedimento e la costituzione dello Stato Maggiore. Da qui poi anche la suddetta mail. Una comunicazione in cui, tuttavia, il vicecomandante della polizia comunale di Lugano rendeva attenti sul fatto che un'eventuale demolizione richiede una licenza edilizia.
Ma soltanto una settimana dopo - il 18 marzo - l'Esecutivo luganese ha revocato la prima decisione di sgombero. Il motivo? «Il servizio giuridico cittadino aveva indicato qual era il corretto iter da seguire: disdetta, diffida e infine esecuzione» spiega ancora Pagani. Lo Stato Maggiore smette quindi di occuparsi della questione. «Dopo la risoluzione del 18 marzo, la pressione sullo Stato Maggiore si è affievolita». Era quindi stato deciso di procedere secondo la legge.
Il 6 maggio lo Stato Maggiore ha consigliato al Municipio, per questioni strategiche, di mettere in atto uno sgombero appena nel tardo autunno 2021. E anche in questa occasione non si parlava di una demolizione: «All'Esecutivo cittadino non è stato chiesto di richiedere una licenza edilizia» sottolinea il procuratore generale.
Autorità pronte a intervenire - A metà maggio il Municipio ha poi deciso l'esecuzione dello sgombero. E gli autogestiti hanno annunciato, per il 29 maggio, una manifestazione per le strade cittadine. Si trattava dunque di pianificare eventuali interventi da parte delle autorità. Il 26 maggio la polizia comunale ha sottoposto all'Esecutivo sei-sette domande per comprendere se vi fosse l'intenzione di sgomberare l'ex Macello e a quali condizioni. Il Municipio ha dato il nullaosta per il provvedimento, ma solo se la situazione fosse degenerata.
I fatti sono poi andati come noto: alcuni autogestiti, quel 29 maggio, hanno occupato uno stabile della Fondazione Vanoni. La situazione - per le autorità - era degenerata. Ed è quindi scattato lo sgombero. Ma quell'ipotesi di demolizione ventilata nel documento del 12 marzo, sottolinea Pagani, non è direttamente collegata con quanto avvenuto in seguito.
Questione di sicurezza - Quella notte le autorità si sono poi dovute confrontare con la necessità di garantire la sicurezza dei manifestanti e della polizia. L'unica soluzione percorribile in una situazione di crisi e d'urgenza era la demolizione parziale dell'edificio. Si parlava del tetto ed eventualmente di una parete.
Errore di comunicazione «non voluto» - Ma come mai è stato abbattuto l'intero stabile? C'è stato un errore di comunicazione. «Chi si trovava sul posto - ci dice Pagani - ha ricevuto via WhatsApp la planimetria del sedime, con lo stabile in questione evidenziato in giallo. La persona che ha ricevuto tale messaggio ha capito che andava demolita la parte dell'ex Macello indicata nella planimetria, quando invece era interessata dalla misura soltanto una parte dello stabile in questione».
«C'è stata un'improvvisazione incredibile» aggiunge il procuratore generale. «Ma è stato un errore non voluto, non c'è pertanto intenzionalità e quindi nemmeno il reato».
Misura proporzionale - La decisione di procedere con un intervento di demolizione è comunque stato proporzionale, come evidenzia ancora Pagani. «Si trattava di una situazione potenzialmente esplosiva, in cui andava deciso se proteggere delle persone o degli oggetti». E in questo caso la giurisprudenza insegna che va garantita la sicurezza delle persone.
Il tutto si è dunque svolto in poche ore. Poco dopo le 21.20 del sabato 29 maggio è stato approvato l'abbattimento parziale dello stabile. E meno di quattro ore dopo, sono partiti i lavori. Non c'è da stupirsi che mezzi e uomini siano potuti giungere così rapidamente sul posto. «Si lavora allo stesso modo quando si verifica una frana» sottolinea Pagani. Nessuno era pronto a ricevere la richiesta, nessuno era stato avvertito in precedenza: «C'erano addetti ai lavori che sono stati interpellati mentre erano a mangiare la pizza in Italia».
Risposte «in tempi ragionevoli» - Sin dalla sua apertura, l'inchiesta per fare luce sui fatti di quella notte è stata fortemente politicizzata e mediatizzata. Il procuratore generale Andrea Pagani come l'ha vissuta questa situazione? «Mi sono sentito investito dalla necessità di accertare come sono andati i fatti. Il lavoro d'inchiesta andava fatto in tempi ragionevoli» ci dice. E conclude: «Non ho sentito alcuna pressione da parte dei media e della politica, che devono restare fuori dal lavoro della Magistratura».