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«La Chiesa ticinese non è a pezzi, c'è un sacco di solidarietà»

CANTONE«La Chiesa ticinese non è a pezzi, c'è un sacco di solidarietà»

21.12.21 - 20:04
Covid, parrocchie in crisi e preti trasgressivi: se ne parla su Piazza Ticino. Guarda il video.
Ti-Press/ D.G.
«La Chiesa ticinese non è a pezzi, c'è un sacco di solidarietà»
Covid, parrocchie in crisi e preti trasgressivi: se ne parla su Piazza Ticino. Guarda il video.
L'imminente Natale visto da don Gianfranco Feliciani, arciprete di Chiasso, e da Cristina Vonzun, responsabile del portale catt.ch: «Non conta solo andare a messa».

CHIASSO / BELLINZONA - Sante messe disertate per la pandemia e per il distanziamento sociale. Il Covid che mette a rischio la vita comunitaria delle parrocchie, basata sul volontariato. I dubbi "europei" sugli auguri di Buon Natale. Gli sgarri di alcuni preti che finiscono sulle prime pagine dei giornali. È un nuovo Natale complicato quello che si sta avvicinando per la Chiesa ticinese. «Ma attenzione – sostiene don Gianfranco Feliciani, arciprete di Chiasso, ospite di Piazza Ticino –. La fede non si misura solo con l'andare a messa. Qualche tempo fa mi è arrivato un appello dal centro per richiedenti l'asilo. Cercavano vestiti, scarpe. Ebbene, si è mobilitato il mondo. Tanta di quella gente non l'avevo mai vista andare a messa». 

Oltre le strutture – Cristina Vonzun, giornalista e responsabile del portale catt.ch, è sulla stessa lunghezza d'onda. E invita a non farne una questione di numeri tra i banchi di una chiesa. «Tanta gente condivide i valori cristiani, pur non praticando. Nel mio quartiere, a Bellinzona, c'è una farmacista che raccoglie beni da mandare in Siria. E non per forza chi aderisce è gente che va a messa. La Chiesa è più grande delle strutture».

Avanti a singhiozzo, ma con la voglia di esserci – Insomma secondo Vonzun non sono i numeri visibili a fare la realtà. «Ci sono persone poi che hanno paura ad andare a messa, perché sono a rischio per il Covid. Nonostante questo la gente non sta mollando la voglia di vivere in comunità. Chiaramente è difficile in questo periodo avere una continuità. Vale un po' per tutte le associazioni. Per tutti i gruppi. Abbiamo dei momenti di aggregazione e dopo due mesi di nuovo peggiora la situazione». 

Quei sacerdoti che sgarrano –Don Feliciani si sofferma sui preti che escono dai binari. Nella Svizzera italiana si viaggia al ritmo di un paio di casi all'anno. «In una famiglia bisognerebbe aiutarsi l'uno con l'altro. Anche il prete, che è pastore, ha bisogno di essere aiutato. E può sbagliare. Dio ha scelto i più fragili. Noi siamo solo poveri strumenti. Se il sacerdote commette un reato, deve pagare. Quando la cavolata commessa è grave, bisogna vedere se può continuare la sua missione. Un tempo prevaleva l'ipocrisia. Non si diceva niente. Oggi prevale la tentazione dello scoop. C'è la tentazione di sbattere il mostro in prima pagina. Non lo trovo giusto. Servirebbe più equilibrio. Si può dire tutto, ma con una certa maniera». 

Le radici cristiane – Si passa in seguito alla polemica europea sugli auguri di Natale. Don Feliciani è chiaro: «Il problema non è solo il Buon Natale. Ma anche il Buon Anno. Di che anno parliamo? Del 2022. Contiamo gli anni a seconda della nascita di Cristo. Per non parlare della bandiera europea creata da un uomo molto devoto: il colore azzurro ricorda Maria e le dodici stelle ricordano la sua corona. Chi ha contestato il Buon Natale non sa che c'è molto di più». 

Il mondo oltre la pandemia – Vonzun è altrettanto diretta: «Gli auguri di Buon Natale per noi europei dovrebbero avere un valore doppio, visto quanto sta accadendo nei campi profughi della Grecia, tanto per fare un esempio. O al confine tra la Bielorussia e la Polonia dove ci sono centinaia di migranti ammassati. La pandemia è la notizia numero uno. E lo condivido. Va bene parlarne. Ma ci dimentichiamo di tutto il resto purtroppo. È vero che la pandemia la viviamo in prima persona, ma nel mondo sta succedendo anche altro». 

Tutti sulla stessa barca – Don Feliciani chiude infine definendo il Covid un virus ecumenico. «Ci sta facendo capire che siamo tutti sulla stessa barca. I dubbi sul futuro che ci poniamo sono i dubbi di tutti». 

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