Il vescovo Valerio Lazzeri commenta un 2021 in salita. Si parla di pandemia, di chiese vuote e di preti che "scivolano".
L'augurio più grande? «Il dono di non pretendere di riuscire a dare una risposta a tutto. E di lasciarsi sorprendere dal bene anche in mezzo alle difficoltà».
LUGANO - «In fondo il primo Natale della storia, a livello di incertezze, non era poi tanto diverso da quello che stiamo vivendo oggi». Sospira, il vescovo Valerio Lazzeri. Sta per chiudersi un altro anno tormentatissimo. Con la pandemia che incalza. E con un senso di smarrimento sempre più diffuso.
L’anno scorso si poteva parlare di un Natale ridotto ai valori essenziali. Quest’anno siamo tramortiti.
«È per questo che facevo riferimento al primo Natale. Allora ci furono la necessità di obbedire a una disposizione esterna come il censimento imperiale, i rischi di uno spostamento durante la gravidanza di Maria, le restrizioni per mancanza di spazio nell’alloggio...»
Ora c'è il Covid. Difficile stimolare la fede in un contesto di così grande confusione. O no?
«Il seme della speranza Dio non lo immette mai su un terreno particolarmente promettente. Non è una luce facile da cogliere. Eppure, nessuno riuscirà mai a spegnerla del tutto».
Non teme che i fedeli, con l'accesso alle chiese limitato, rischino di scappare sul serio?
«Se non ci fosse questo rischio, non si potrebbe neppure parlare di fede. Si tratterebbe di abitudine religiosa o di costrizione. È quando siamo messi alla prova che si vede quanto le nostre convinzioni sono in grado di motivare le nostre scelte».
La pandemia accelera la secolarizzazione?
«Non so se parlare di accelerazione definisca bene ciò che sta accadendo. La pandemia sta rendendo evidenti processi già in atto da tempo, di cui finora non eravamo riusciti a prendere pienamente coscienza. Da questo punto di vista, non parlerei di rischio, ma di possibilità di leggere con più lucidità la realtà».
Parliamo della Diocesi ticinese. Quali sono stati i momenti più significativi di quest’anno?
«Purtroppo, anche quest’anno il calendario degli eventi è stato forzatamente ridotto. Tuttavia, le occasioni in cui abbiamo potuto rallegrarci non sono mancate. Sono state quelle delle riaperture ai momenti conviviali, della ripresa di tante attività di volontariato. Alcuni segnali positivi ci vengono anche dal processo sinodale avviato in ottobre in tutta la Chiesa e anche nella nostra Diocesi».
Altri due preti protagonisti di comportamenti poco “consoni”. Quanto è dura per il vescovo gestire queste situazioni?
«Si tratta di fatti che lasciano tutti con l’amaro in bocca. Per me la fatica più grande è quella di non potere dare una risposta immediata alla confusione e alla sofferenza generate da questi avvenimenti».
Nel 2021 lei ha anche avuto un problema a un piede. Quanto ha condizionato il suo operato?
«Mi ha solo costretto a ridurre gli spostamenti a piedi e, in particolare, le processioni durante le celebrazioni».
Cosa chiede a Gesù Bambino?
«Il dono di non pretendere di riuscire a dare una risposta a ognuna delle numerose domande che ci poniamo. E di lasciarsi sorprendere dalla possibilità di vivere in maniera sensata, umana e bella anche in mezzo alle difficoltà, che continueranno a esserci anche dopo di noi. Buon Natale a tutti».