Il Tribunale amministrativo federale ha fornito nuovi dettagli sul modo di agire di un contrabbandiere fermato nel 2017.
I giudici si sono dovuti occupare del caso dopo il ricorso (respinto) presentato da un rivenditore, a suo tempo condannato per importazione illegale di prodotti.
SAN GALLO - Una decisione del Tribunale amministrativo federale (TAF) getta luce sull'operato di un trafficante di prodotti alimentari provenienti dall'Italia. «L'uomo usava la moglie per perlustrare la situazione in dogana», si legge sulla sentenza pubblicata oggi.
Dal verdetto, che riguarda un caso di tasse dovute da un cliente della coppia, si apprende che si tratta del contrabbandiere scoperto a fine gennaio 2017 in una dogana del Mendrisiotto. Durante un controllo a un veicolo, le guardie di confine hanno scoperto oltre 500 chili di formaggi e salumi.
L'uomo era accompagnato dalla moglie, che lo aveva preceduto attraversando la frontiera a piedi, in modo da confermare l'assenza di doganieri. Ben organizzata, la coppia disponeva di un secondo veicolo nella zona e di un locale dove stoccare la merce.
Traffico su ampia scala - L'inchiesta ha stabilito che l'uomo ha importato in modo fraudolento oltre 30'000 chili di formaggi e salumi ricorrendo sempre allo stesso stratagemma. In questo modo, ha eluso il pagamento di oltre 280'000 franchi fra diritti doganali e IVA.
La merce era destinata a clienti diretti della coppia o a rappresentanti in tutta la Svizzera. Le prelibatezze della Penisola venivano consegnate in un'area di servizio autostradale o presso un deposito.
Ricorso respinto - Condannato a pagare 900 franchi di tasse doganali, IVA e altro, uno dei rivenditori ha contestato la decisione presso il TAF. In particolare, sosteneva che la sua azienda non poteva essere accusata per un'importazione illegale di prodotti comandati.
I giudici di San Gallo hanno però respinto il suo ricorso. L'azienda in questione ha infatti approfittato economicamente della situazione. In totale, ha ricevuto 62 chili di prosciutto, roast beef e bresaola. La sentenza nei suoi confronti è quindi corretta e ciò vale anche in caso di buona fede.