In vista del secondo anniversario, abbiamo chiacchierato con Christian Garzoni, uno dei volti simbolo della pandemia.
L'infettivologo si è raccontato tra passato, presente e futuro. «I ricordi più estremi sono legati alla prima ondata. Ricordo la paura, i morti, la solitudine dei parenti. Se ci ripenso mi viene ancora il magone».
BELLINZONA - Anche il Ticino, nel suo piccolo, in questi due anni di pandemia ha avuto alcuni esperti che sono diventati dei veri e propri punti di riferimento. Tra i volti più presenti (e più noti) troviamo certamente il medico cantonale Giorgio Merlani, che di recente ha espresso la volontà «di fare altro» una volta che la pandemia di coronavirus sarà definitivamente debellata. Ma il medico cantonale non è l’unico a essere assurto agli onori della cronaca pandemica. Sotto i riflettori sono finiti anche gli infettivologi Andreas Cerny e Christian Garzoni. Ed è proprio con il direttore sanitario della Clinica Moncucco - là dove quasi due anni fa si è registrato il primo caso ticinese (e svizzero) - che abbiamo voluto scambiare due chiacchiere su questi due anni vissuti senza poter mai togliere il piede dall’acceleratore.
Come è cambiata la sua vita in questi quasi due anni di pandemia?
«La mia vita è cambiata relativamente. Sono e resto un medico. Sono andato avanti a fare il mio lavoro al quale si è aggiunta la gestione dell’emergenza Covid-19. Una gestione che mi ha impegnato sia nella cura dei pazienti, sia come esperto a livello nazionale e cantonale. Abbiamo dovuto organizzare la Clinica Moncucco per aiutare la popolazione, prendendo a carico molti malati di Covid-19 e garantendo nel contempo la cura delle altre patologie. Ho pure ricevuto spesso domande riguardanti la malattia o i vaccini da persone esterne».
Qual è il ricordo più vivido che porta con sé?
«I ricordi più vivi ed estremi sono legati alla prima ondata. Ricordo l’incertezza che si viveva in attesa del primo caso. E poi il dramma con le centinaia di ricoveri e i molti decessi al giorno tra i nostri pazienti. Ricordo anche la paura che potesse esserci un collasso del sistema ospedaliero. E la solitudine degli ammalati e dei parenti che non potevano entrare a trovarli. Se ci ripenso, mi viene ancora adesso il magone. In seguito è diventata come una maratona infinita. Si prendeva un po’ di fiato d’estate e si tornava a correre a testa a bassa in autunno e inverno. È stato sicuramente stancante. Con Omicron, benché abbia provocato ricoveri e decessi, non abbiamo per fortuna vissuto l’ecatombe di due anni fa. È stato più “facile” fare il medico. Perché la maggior parte dei pazienti guariva e tornava a casa».
Il medico cantonale ha già annunciato che quando l’OMS decreterà la fine della pandemia, lui lascerà il suo incarico. Lei come vede il suo futuro? Cosa farà quando tutto sarà concluso?
«Il mio futuro non cambia. Io sono e resto un medico. Un medico di famiglia e uno specialista in malattie infettive. E continuerò a lavorare in questo campo. Non esiste solo il Covid-19. Ci sono tante altre malattie infettive e tanti altri problemi che richiedono attenzione, come ad esempio la resistenza degli antibiotici. Non sono comunque convinto che ci libereremo così facilmente del coronavirus. È vero che gli scenari migliori ipotizzano che diventerà come un raffreddore, ma in questo contesto entreranno poi le nuove varianti e l’adeguamento dei vaccini. Sia io, sia la Clinica Moncucco ci occuperemo ancora di questi aspetti. In parallelo continuerò a fare il medico di famiglia nello studio nato durante la pandemia con un gruppo di colleghi. Sono fortemente convinto dell'importanza ricoperta dalla medicina di famiglia e per questo desidero adoperarmi per rafforzarla ulteriormente sul territorio, incrementandone la sostenibilità nel tempo e rivolgendosi alle generazioni future. Il medico di famiglia al centro di processi di cura è la chiave della sanità che verrà e sarà uno dei principali progetti sul quale investirò le mie energie in futuro».
Lei è uno dei principali volti della pandemia in Ticino. Questa notorietà ha influito in qualche modo sulla sua vita privata? Ha avuto ripercussioni negative?
«In verità ho ricevuto quasi solo feedback positivi. E questo mi ha aiutato nei momenti difficili e a sopportare gli impegni e la distanza dalla famiglia, dai miei figli e da mia moglie che devo ringraziare moltissimo per il supporto che mi hanno dato. Ancora oggi mi capita di camminare per strada e d'incontrare qualcuno che mi ringrazia per quello che ho fatto.
Quindi non le mancherà...
«La notorietà in realtà non l’ho cercata io. È capitata. E ha avuto anche un ruolo importante, diventando parte del mio impegno per la comunità. La popolazione all’inizio aveva infatti bisogno di essere tranquillizzata. E io ho cercato di comunicare loro come combattere insieme quel brutto periodo. Non sono comunque un uomo di spettacolo e la notorietà non mi mancherà».