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Gli aiuti al "fronte": «C'è chi dorme per terra, ma il sorriso di un bimbo ci scalda il cuore»

CANTONEGli aiuti al "fronte": «C'è chi dorme per terra, ma il sorriso di un bimbo ci scalda il cuore»

16.03.22 - 08:17
Sono due ventenni partiti da Locarno. Ora si trovano a Medyka: «Aiutiamo come possiamo. Smistiamo pacchi e cuciniamo»
Leonid e Gabriel
Gli aiuti al "fronte": «C'è chi dorme per terra, ma il sorriso di un bimbo ci scalda il cuore»
Sono due ventenni partiti da Locarno. Ora si trovano a Medyka: «Aiutiamo come possiamo. Smistiamo pacchi e cuciniamo»
La loro è un'esperienza che non dimenticheranno: «Qui è tutto autogestito, ma funziona perfettamente. Fa freddo, si lavora anche per un giorno di fila, ma c'è una bellissima energia nell'aria»

LUGANO - Giovane età e tanta voglia di aiutare. Queste le principali skills che i locarnesi Leonid e Gabriel - rispettivamente 20 e 21 anni - hanno deciso di mettere in valigia per andare a dare una mano al confine con l’Ucraina.

Sono partiti senza pensarci due volte, salendo su un Flixbus diretto a Varsavia, pronti a fare qualunque cosa pur di rendersi utili. «Con un biglietto di sola andata, l’8 marzo è iniziato il viaggio». Il primo giorno e mezzo i due ragazzi lo trascorrono nella Stazione centrale della capitale polacca. «Qui i volontari si occupavano principalmente di smistare la gente. Così abbiamo conosciuto uno svizzero che vive in Inghilterra. A bordo di un furgone trasporta viveri e rifugiati nelle varie destinazioni. Ci ha suggerito di spostarci a Medyka, dove avremmo potuto essere maggiormente d’aiuto. Lo abbiamo seguito».

Da allora i due ragazzi vivono le loro giornate in un hub sul confine. «Smistiamo aiuti, accogliamo rifugiati, c’è sempre da fare. E siamo in tantissimi», raccontano. «Ci sono diverse tendine. Una della Croce Rossa, una degli scout, altre di privati. Ci si sveglia la mattina, si cerca di capire cosa c’è da fare e ci si mette all’opera». 

Il lavoro non manca (tra l’altro uno dei due parla russo e quindi può fare anche da interprete). «Riceviamo tantissimi pacchi. Si tratta di cibo, materiale medico, vestiti, sacchi a pelo… Distribuiamo a chi ne ha bisogno, non solo rifugiati, ma anche militari pronti ad andare in guerra. Secondo le necessità, inviamo alcuni di questi pacchi agli altri hub dislocati nella zona. Alcune volte cuciniamo, o aiutiamo nello smistamento dei rifugiati». 

Proprio in merito ai pacchi, anche “dal fronte” si ripete quello che ormai è un mantra tra chi sta raccogliendo aiuti: «Cercate di mettere un articolo solo per scatola. A volte ci troviamo all’una di notte ad aprire pacchi e trovarci dentro di tutto. Dalla cover dell’iPhone ai pannolini. Questo non fa altro che complicarci il lavoro inutilmente», sottolineano. 

Chi vuole, resta impegnato per diverse ore al giorno: «C’è chi si è fatto anche 36 ore di fila. Dipende dalle giornate. La verità - spiegano - è che non ci pesa. C’è una bellissima energia che ci aiuta ad andare avanti e a fare il possibile per far stare meglio queste persone».

In tutto questo darsi da fare, capita di venire travolti dalle emozioni. «L’altro giorno abbiamo regalato una stecca di cioccolata a un bimbo. Aveva il viso triste, stravolto da quella che per lui deve essere una situazione traumatica. Quando ha capito cosa stava ricevendo si è illuminato di colpo. Per noi è stato il più bel regalo che potessimo ricevere». 

Un regalo che ripaga di tutto, anche della sistemazione non proprio comodissima: «Viviamo in un magazzino. Noi siamo fortunati, abbiamo delle brande militari. C’è però chi dorme letteralmente sul pavimento, con una sola coperta. Abbiamo uno scaldino elettrico, ma fa davvero freddo in Polonia». 

Ogni tanto Leonid e Gabriel varcano anche il confine: «Far passare i rifugiati non è semplicissimo, e i controlli sono serrati. Per questo capita di dover portare cibo o coperte a chi è in coda dall’altra parte. Siamo lontani dalle bombe, ma negli scorsi giorni hanno colpito una località a 30/40 minuti da qui». 

La cosa sorprendente per i due ragazzi è il potere organizzativo di una realtà messa in piedi da gente giunta da mezza Europa. «Qui tutto è autogestito. Una sorta di Molino umanitario - scherzano -. Speriamo solo che non arrivi l’equivalente della polizia con le ruspe». 

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