Pensieri, riflessioni e ricordi da Palazzo Civico a dodici mesi dalla scomparsa di Marco Borradori
LUGANO - Un anno senza Marco Borradori. La sua scomparsa, così prematura e improvvisa, ha lasciato un vuoto incolmabile a Lugano. E non solo. La Città rimase, citando le parole di Michele Foletti, allora vicesindaco, «sospesa nel vuoto» per oltre 24 ore; abbracciata a una flebile speranza. Alle 18.10 di un anno fa, quel filo sottilissimo si spezza: il Sindaco di tutti se n'è andato.
È uno di quei momenti che determinano il prima e il dopo. Uno di quelli di cui tutti si ricordano dove si trovavano, con chi erano e cosa stavano facendo quando la notizia è arrivata. Un anno dopo, il ricordo di Marco Borradori in città è più vivo che mai. Ma in cosa si è sentita di più la sua mancanza? È una domanda che abbiamo rivolto a tutti i Municipali di Lugano, raccogliendo i loro pensieri e ricordi.
Michele Foletti: «C'è ancora chi mi dice: "Mi è sembrato di vedere Marco"»
«Più di tutto manca il fatto di non incontrarlo. C'è ancora gente che ogni tanto mi dice: "Mi sembra di aver visto Marco che attraversava la Piazza mentre parlava al telefono...". Penso che la cosa che è mancata di più sia stata proprio la presenza fisica. Perché era davvero sempre presente. Con tutti». Mentre il lavoro che aveva fatto a Palazzo Civico ha lasciato in dote «una bussola» che ha permesso alla città di non fermarsi. «Quello che aveva programmato, gli strumenti che erano stati messi a disposizione del Consiglio comunale e del Municipio e condivisi con tutti ci hanno permesso di continuare coerentemente con quelle che erano le idee e i progetti che avevamo». E gran parte di quel lavoro Borradori lo aveva fatto in silenzio. Senza grandi proclami. E «per quello dico che non è stato così difficile continuare. Proprio perché tutto il lavoro che non mi ero reso conto che stava facendo, e aveva fatto, ci ha permesso di proseguire su una linea già tracciata. E lo stesso vale per i rapporti e la collaborazione all'interno dell'amministrazione cittadina. Non mi ero reso conto di quello che aveva costruito in questi anni». È su queste basi che Lugano ha scritto importanti pagine in questi ultimi dodici mesi, che però «erano iniziati decisamente in salita con il referendum sul Polo Sportivo. Poi abbiamo avuto una nuova ondata di Covid. A febbraio è stata la volta della guerra in Ucraina, con il dramma dei profughi e la problematica legata alla loro gestione, che all'inizio non è stata semplice, perché a Berna sono rimasti sorpresi, senza dare grandi direttive. Poi c'è stata la gioia della Coppa Svizzera». La Conferenza sull'Ucraina. Il Plan B. «Credo che Lugano in questo anno abbia saputo dimostrare di essere un punto di riferimento anche a livello internazionale. La città sta ritrovando quella dimensione internazionale che, probabilmente anche a causa della crisi finanziaria, stava perdendo. E questo, per il futuro, lo vedo assolutamente come un punto di forza». Certo è che rimane il «dispiacere» per il fatto che Marco Borradori non abbia potuto vedere tutto questo con i suoi occhi. «Avrebbe meritato di raccogliere quello che si era seminato insieme, mentre purtroppo non ha potuto avere questa soddisfazione. Ma se stiamo raccogliendo qualcosa è proprio perché siamo partiti da lontano».
Roberto Badaracco: «Viveva ogni momento della Città e ne traeva energia»
«Inizialmente non è stato facile. Dopo cinque anni in cui lo vedevi praticamente ogni giorno, senti fortissima la mancanza del suo volto e della sua persona negli ambienti in cui hai convissuto. Ti riaffiorano tantissimi ricordi nella mente. Come Municipio abbiamo comunque reagito prontamente dopo l'iniziale e comprensibile smarrimento, e ci siamo rimessi a lavorare molto anche in onore di quanto fatto da Marco». Tanto il lavoro insieme e tanti i momenti vissuti anche fuori dalle mura di Palazzo Civico. «Proprio perché il mio Dicastero tratta la cultura, lo sport e gli eventi vedevo Marco spessissimo. Era sempre presente e viveva i momenti pubblici con particolare intensità e piacere. Non gli pesavano assolutamente e anzi sembrava che ne traesse forza ed energia. Ricordo un episodio che ben attesta la sua popolarità. Durante la Festa federale delle Corali in costume svoltasi a Lugano nel 2016 ci fu chiesto, come autorità, di sfilare su una spider rossa sul lungolago. Ebbene rimasi impressionato dai continui saluti e battiti di mano rivolti a Marco. "Forza Marco!". "Ciao Sindaco!". E tanti altri. Un vero tripudio! E lui sorrideva amabilmente, divertito da tanta attenzione». Quest'ultimo anno «è stato molto impegnativo per noi. La campagna sul referendum del PSE ci ha assorbito molte forze, ma il suo esito è stato esaltante! Un'incredibile iniezione di adrenalina. Abbiamo dedicato questa vittoria del Municipio a Marco. Ci teneva tanto a questo Polo e si era prodigato per convincere la popolazione sulla sua necessità. Credo che anche la vittoria in Coppa Svizzera dell'FCL lo avrebbe galvanizzato e reso fiero della sua città. E sì, rimane l'amarezza di non aver potuto trascorrere con lui questi momenti per gioire e festeggiare».
Lorenzo Quadri: «Chi pensava a Lugano, pensava al suo sindaco»
«Marco aveva uno stile di conduzione e un modo tutto suo di interpretare il ruolo di sindaco. Aveva una fortissima presenza sul territorio e aveva un’empatia che non è facilmente replicabile. Durante quest’anno alcuni compiti che prima si assumeva lui, perché gli piacevano, sono stati distribuiti sugli altri municipali. Chiaramente Marco manca tantissimo anche per il suo carisma e per la sua esperienza. Ha passato quasi vent’anni in Consiglio di Stato e quattro nel Consiglio nazionale. Di fatto era un politico professionista da decenni. Per questo aveva agganci e conoscenze tutti i livelli. Aveva poi contatti personali non solo a livello politico ma anche a livello di funzionari, che spesso sono quelli che decidono. Tutto questo era naturalmente un patrimonio importante per il Municipio. Era poi il volto della Città. Chi pensava a Lugano, pensava al suo sindaco. Era un simbolo. Un emblema». E la sua assenza si sente anche nella Lega. «Marco era una personalità amata. Aveva anche lui i suoi avversari a livello cantonale, ma i suoi risultati elettorali parlano da soli. Era tra i politici più apprezzati trasversalmente, andava oltre gli steccati di partito. Era un leghista della prima ora. E ancora oggi è difficile immaginare la Lega senza Marco Borradori. C'era fin dagli albori. È sempre stato un punto fermo del Movimento. E questo manca tanto». La sua scomparsa ha poi lasciato un retrogusto amaro anche sui successi degli ultimi dodici mesi. «La cosa che più gli sarebbe piaciuta vedere è il risultato della votazione sul PSE. Era un dossier che aveva seguito con molto impegno e convinzione. Un dossier non semplice. Anche a livello popolare non era scontato che venisse accettata. Quindi sicuramente poter vedere questo risultato sarebbe stato per lui fonte di grande soddisfazione. Anche perché è stato il frutto del suo lavoro. Ha messo tanto del suo per cogliere questa vittoria ma purtroppo non ha potuto festeggiarla. E questo evidentemente dispiace».
Cristina Zanini Barzaghi: «Una presenza impossibile da sostituire»
«In un Municipio di sette persone l’operatività è data dalla squadra» ma «sicuramente manca la capacità di mediazione che aveva Marco. Con lui i processi erano molto più partecipativi e c’era molto ascolto reciproco. Evidentemente io avevo delle posizioni politiche completamente diverse, ma lui aveva una grande sensibilità anche nel confronto delle idee che spesso esprimevo». Un confronto sempre costruttivo e cordiale. «Con Marco abbiamo passato otto anni insieme in Municipio. Manca molto la possibilità di vedersi e confrontarsi con lui sui dossier. Lui era sempre molto presente a Palazzo Civico e avendo l’ufficio vicino ci si incrociava abbastanza spesso. Dal punto di vista umano manca soprattutto la sua presenza. Una presenza che è impossibile da sostituire». Un aneddoto? «Lui era molto goloso di dolci. E siccome a me piace cucinarli ogni tanto glieli portavo e lui li apprezzava sempre molto». Così come, pensando agli ultimi dodici mesi, «avrebbe molto apprezzato il risultato sul referendum del Polo sportivo. È quello sul quale tutti assieme abbiamo lavorato moltissimo».
Karin Valenzano Rossi: «Solido e leale. Con noi e con i cittadini»
«L'aspetto più forte credo fosse proprio il rapporto privilegiato che lui aveva con tutti i cittadini e che quindi, in qualche misura, incarnava anche come Municipio. E nella sua funzione di sindaco era proprio riconosciuto trasversalmente da tutta la cittadinanza. Ed è una particolarità che lui aveva già in Cantone e che ha portato a Lugano, rafforzandola». Una differenza che «si constata. Lui aveva questa grande necessità di comunicare sempre. Una grande capacità comunicativa e, al tempo stesso, una grande esigenza di farlo. Questa è di certo una grande differenza» tra ieri e oggi. E nei pochi mesi di lavoro insieme a Palazzo Civico «ho trovato qualcuno di estremamente solido e leale. Anche nei confronti dei suoi cittadini». E il pensiero scivola inevitabilmente ai fatti dell'ex Macello. «La cosa che mi colpì di più fu vedere il suo disappunto, anzi oserei dire il suo dolore, nel non essere creduto. Non tanto dai cittadini, ma da alcune forze politiche. Perché lui, dopo 35 anni di politica, non riteneva di non essersi guadagnato almeno la buona fede. Ricordo il suo dolore di non essere creduto». E, di riflesso, resta il ricordo della «lealtà» di chi «la faccia l'ha sempre messa. Nel bene e nel male. Davanti a tutti. E questo, come si dice, è tanta roba. Era una grande caratteristica di Marco. E da questa tutti abbiamo qualcosa da imparare». Si arriva quindi alle pagine che la Città ha scritto in questi ultimi dodici mesi. Quelle che Borradori non ha potuto vedere con i suoi occhi e che quindi «sicuramente lasciano un po' di amaro in bocca, così come fanno queste morti repentine, che lasciano sempre un senso di ingiustizia. Però penso che anche noi, forti di quell'impegno e della passione che lui ha messo, cerchiamo di portare avanti il tutto per il bene della città. Anche ricordando a nostra volta di metterci quella stessa passione. Sono stati mesi importanti, contraddistinti da un avvio di legislatura impegnativo e da una necessità di assestamento di tutti. Per i cittadini, il Consiglio comunale e il Municipio. Però credo che nei momenti salienti il Municipio si sia dimostrato molto compatto, pronto a rimboccarsi le maniche per andare nella direzione che era stata tracciata. Certo ci sono temi in cui magari non ci si metterà mai d'accordo, e va bene così perché ci sono sensibilità diverse. Ma sui temi cruciali per la città, la volontà di portarli avanti insieme è forte».
Filippo Lombardi: «Era un punto di riferimento per tutti»
«Ci manca sicuramente una figura di spicco. Di rilievo. Marco era conosciuto in città e fuori. Era il volto di Lugano. Sul lavoro quotidiano, per forza di cose, il vuoto è stato colmato. Il sindaco attuale dirige gli affari della Città in modo assolutamente adeguato. Non credo che il nostro lavoro sia reso impossibile. Ma è proprio dal punto di vista dell’immagine che Marco manca tanto. Era un punto di riferimento». E personalmente «manca un amico che mi aveva accolto molto bene in Municipio sebbene io fossi tra gli ultimi arrivati. Un amico che si era anche adoperato per far si che l’integrazione di due nuovi membri nella compagine municipale avvenisse nel migliore dei modi. Anche attraverso situazioni difficili come quelle legate all'ex Macello». Ma i ricordi vanno ben oltre la breve esperienza insieme a Palazzo Civico. «Abbiamo collaborato nei sedici anni in cui sono stato nella commissione dei trasporti al Consiglio degli Stati e lui era al Dipartimento del Territorio. Io ero un po’ il suo punto di riferimento a livello federale, soprattutto quando c’era da sbloccare qualcosa a Berna. Mi ricordo ancora quando Marco venne a Berna insieme alla delegazione del Consiglio di Stato per la questione del Tribunale Penale Federale. Quel giorno agli Stati avremmo deciso la futura sede. E in lotta c’erano Aarau e Bellinzona. La Delegazione era venuta a Berna solo per onor di firma. Erano già praticamente rassegnati che il Tribunale sarebbe finito in Argovia. Io la sera prima li avevo però avvertiti che avrebbe vinto Bellinzona. Avevo infatti sondato il terreno e sapevo che avevamo la vittoria in pugno. Quel giorno festeggiamo insieme questo risultato». E parlando di vittorie da festeggiare, è vivo «il rimpianto che non abbia potuto condividere con il Municipio la storica vittoria sul PSE», che «per molti anni» è stato «una sua preoccupazione costante». «Vederlo coronato dal successo popolare gli avrebbe fatto un enorme piacere. Penso anche che qualche cittadino abbia votato a favore del progetto proprio per onorare la memoria di Marco».
Tiziano Galeazzi: «Quando si gira in città non è più la stessa cosa»
«Si è sentita tanto la sua mancanza, e intendo quella fisica, in giro per le strade. E non solo. Anche se, fondamentalmente, per me è come se fosse ancora qua. È chiaro che quando giri per la città, ti fermi a prendere un caffè nei posti dove ci si trovava sempre e non lo vedi… Ma è bello immaginarlo sempre con noi». E se in Municipio si respira «un bel clima collegiale, dove ognuno ha le sue particolarità e dove ho da subito trovato buon dialogo e collaborazione» è indubbio «che politicamente manca. Come figura. Manca la sua personalità. E questo si sente e si vede». E poi c’è quell’amicizia lunga decenni, quella da «onorare» con l’impegno a Palazzo Civico. «A Marco parlo ancora oggi. Ci sono volte in cui mi ritrovo a chiedergli cosa ne pensa di come sto lavorando. È un po’ come se fosse ancora lì. Ho un bel rapporto anche con suo fratello Mario, e quindi mi confronto anche con lui su ciò che Marco avrebbe potuto pensare su un’idea piuttosto che un’altra. È come se ci fosse un confronto continuo che va avanti. Per me è come se fosse “l’ottavo municipale”». E guardando verso il futuro, «credo avrebbe voluto che ci mettessimo del nostro per sviluppare nuove idee. Lui, che era estremamente innovativo, si aspetta da noi anche questo. E noi dobbiamo avere il coraggio di andare avanti in questa direzione. Tutti, ognuno nel suo piccolo. Saper essere più innovativi e meno statici. Perché lui non stava mai fermo e non dobbiamo farlo neanche noi».