Poche donne intraprendono professioni tecniche e scientifiche. Un workshop le avvicina a un mondo ritenuto "da uomini".
Tra i relatori Cristina Zanini Barzaghi: «Le ragazze vanno incoraggiate a intraprendere questi percorsi»
BELLINZONA - Come mai ad oggi ci sono così poche donne nelle professioni tecniche e scientifiche, o nei premi Nobel? E cosa cambierebbe se occupassero più posizioni nel mondo della scienza e della tecnica? A questi ed altri interrogativi hanno risposto i relatori del “Workshop di crescita personale” tenutosi presso la Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona per le ragazze selezionate per il programma di mentoring Swiss TecLadies, dell’Accademia svizzera delle scienze tecniche SATW.
Tra i relatori anche Cristina Zanini Barzaghi che, in qualità d'ingegnere civile, ha illustrato "il ruolo delle donne nella scienza e nella tecnica". L'abbiamo interpellata per capire quali sono ad oggi i limiti che una donna incontra nel suo cammino professionale.
C’è davvero bisogno di corsi per l’autostima?
«Non lo vedrei come un corso di autostima. La questione è semmai quella delle pari opportunità e della possibilità di conoscere professioni ad oggi non ancora ritenute appannaggio delle donne».
Porta la sua esperienza personale, insomma.
«Ho scelto la carriera ingegneristica più di 30 anni fa, ma resto ancora stupita del fatto che ad oggi siano così poche le ragazze che scelgono lo stesso percorso. La società ha fatto grandi passi avanti, ci sono tante ragazze bravissime in matematica e scienze, ma che poi non ritrovo nel settore professionale. Credo che l’autostima non abbia nulla a che vedere con tutto ciò, le ragazze che incontriamo hanno bene in chiaro le loro capacità».
Allora il problema dove si colloca?
«Mancano dei modelli di riferimento. Nell’immaginario collettivo certe professioni sono svolte prevalentemente da uomini. Se le ragazze non sono incoraggiate a intraprendere questi percorsi, da sole non trovano la strada a meno che non siano motivate da qualcuno in famiglia».
Non c’è lo zampino dell’uomo, che magari vuole conservare un ambiente maschile in certi settori?
«Il tema delle carriere e delle opportunità viene dopo e, certo, tocca tutte le donne in qualsiasi ambito. Dopo 35 anni di pratica professionale ho constatato però che chi entra nel mio settore, se ha le competenze, normalmente trova il suo spazio».
Ha un nome questo fenomeno?
«Si parla di “leaky pipeline” (la conduttura che perde), metafora usata per descrivere il modo in cui le donne diventano minoranze sottorappresentate nei campi STEM (science, technology, engineering and mathematic). In matematica e ingegneria lo squilibrio inizia prima della laurea, con meno donne che scelgono di specializzarsi in questi campi».
Insomma, il suo è un invito a iscriversi ad ingegneria?
«Ma certo. Secondo la mia esperienza, le donne che intraprendono questa strada hanno quasi più possibilità di far carriera rispetto alle donne in altre professioni. Ogni tanto incontro ragazze felici di aver seguito una di queste giornate e che ora sono realizzate professionalmente. Mi fa molto piacere».
Quindi c’è bisogno di testimonial. Se devo pensare a una donna che ha seguito con successo un percorso scientifico mi viene in mente Samantha Cristoforetti.
«C’è sicuramente bisogno di donne così. Lei è bravissima e non solo nel suo lavoro, ma anche nella capacità di comunicarlo ai non addetti ai lavori. Ma c’è bisogno anche di figure più “normali”. La Cristoforetti ha un profilo eccezionale, non credo che tutte le ragazze vogliano diventare astronaute. Anche per questo abbiamo il programma di mentoring Swiss TecLadies, con professioniste che accompagnano le giovani donne, una ad una, mostrando le soddisfazioni che si possono ottenere seguendo determinati percorsi professionali, senza necessariamente dover viaggiare nello spazio».
Lei dice: “Se ci fossero più donne nella scienza e nella tecnica saremmo forse in grado di affrontare in modo più deciso temi difficili come la digitalizzazione e la svolta climatica”. Cosa intende?
«Buona parte della tecnologia che oggi usiamo è pensata da uomini, giovani e bianchi. Insomma, c’è dietro una precisa categoria di persone che non necessariamente risponde ai bisogni di tutti. Credo invece debba essere progettata da persone con il maggior numero di profili differenti. Stesso discorso per la svolta climatica. Anche nei campi più tecnici come l’ingegneria civile o meccanica le donne hanno da sempre messo l’accento su aspetti quali l’etica, l’ambiente e il sociale. La forma mentis femminile può offrire un importante contributo alla società».