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LUGANOFare impresa (all'estero) è sempre più difficile

20.02.23 - 19:01
Uno studio di Credit Suisse fa luce sugli effetti delle tensioni geopolitiche sulle imprese: «Il 30% ha rimpatriato la propria attività»
Foto TiPress
Fare impresa (all'estero) è sempre più difficile
Uno studio di Credit Suisse fa luce sugli effetti delle tensioni geopolitiche sulle imprese: «Il 30% ha rimpatriato la propria attività»

LUGANO - Da un sondaggio condotto tra 650 imprese emergerebbe che una netta maggioranza avverte gli effetti dei mutevoli equilibri geopolitici: il conflitto in Ucraina, certe barriere non tariffarie come l'aumento della densità normativa, i rischi commerciali nonché le restrizioni alla cooperazione transfrontaliera rendono i piani aziendali più incerti che in passato. 

Il 30% delle imprese svizzere ha rimpatriato la propria attività - Così tanto che il 30% delle imprese svizzere ha deciso di rimpatriare la propria attività.È uno dei dati diffusi oggi nel corso di una conferenza organizzata da Swiss Venture Club, la rete di piccole e medie imprese attiva da oltre 20 anni e che fa conoscere al pubblico le aziende di successo.

La sofferenza commerciale delle imprese svizzere - È stata Sara Carnazzi Weber, responsabile dell’analisi politico-economica di Credit Suisse, a rivelare il contenuto di un'inchiesta che fa luce sulla "sofferenza" commerciale patita dalle imprese svizzere. «I conflitti e le evoluzioni insidiose influiscono sui rischi geopolitici - ha spiegato - e queste tensioni non risparmiano l'economia svizzera, le cui imprese sono legate all'estero a diversi livelli. I principali partner sono i Paesi europei come l'Italia, la Francia, la Germania, ma anche Stati Uniti e la Cina».

Via da Russia e Ucraina - Molte le aziende elvetiche che da decenni sono attive in Russia e in Ucraina, dove «i rischi superano le opportunità commerciali» costringendo molte imprese a ritirarsi. Il teatro di guerra nel cuore dell'Europa non è il solo a essere indicato come a rischio dagli imprenditori svizzeri: «Il sondaggio rileva anche altre regioni del mondo come Argentina, Iran e anche Nuova Zelanda».

Il 19% delle imprese si ritira subito - Ritirarsi da un Paese può significare ingenti perdite di introiti: «Non è così facile - ha spiegato Carnazzi Weber - rinunciare di colpo a una relazione commerciale che si è dispiegata su decenni e che ha avuto bisogno di un grande sforzo per consolidarsi. Ecco spiegato perché solo il 19% ha deciso di rinunciare sin da subito e chiudere l'attività. Il Paese dove si sono registrate le chiusure maggiori è la Russia».

E sono proprio questi stessi imprenditori - spiega l'economista di Credit Suisse - «a chiedere una ripresa delle relazioni con questo Paese». 

Gli imprenditori: «I nostri partner esteri non hanno apprezzato l'adesione della Svizzera alle sanzioni» - Fra le risposte date da chi fa impresa in Svizzera ve ne è una che tira in ballo la neutralità. «Il 40% delle aziende - ha rivelato lo studio - afferma di avere osservato reazioni negative all'estero dai loro partner commerciali sulla presa di posizione svizzera di volere applicare le sanzioni. La Svizzera - è il parere degli imprenditori - deve mantenere la sua neutralità».

La globalizzazione rallenta a causa di dazi doganali sempre più elevati - Diversi sono gli ostacoli che creano problemi alle aziende: «La globalizzazione è rallentata ed è un mondo sempre più caratterizzato da ostacoli al libero scambio - spiega l'economista - i dazi doganali sono in aumento, come anche le misure non tariffarie come prescrizioni, meccanismi di omologazione. Il 60% delle imprese ha questo genere di problemi, molto nel settore degli appalti pubblici».

Questo perché è aumentata la griglia delle regolamentazioni, «soprattutto nell'ambito della protezione dell'ambiente e dei dati. E sono perlopiù le grandi imprese a risentire in maniera più pronunciata di queste nuove introduzioni di legge».

Collaborazioni con partner esteri sempre più difficili - E in questo contesto di tensione crescente e di ostacolo alla concorrenza, «non sorprende che la collaborazione con partner commerciali all'estero è diventata sempre più difficile nel corso degli ultimi 3 anni. Ma una minore cooperazione pone problemi a diversi livelli: la cooperazione, come si sa, favorisce la diffusione di tecnologia e poi aiuta ad affrontare meglio i problemi su scala globale».

I costi crescenti - Capitolo costi. Le turbolenze osservate hanno messo in luce la difficoltà delle catene di approvvigionamento: «I risultati dell'inchiesta mostrano da parte di molte imprese il ricorso a un considerevole aumento delle scorte, che significa costi più elevati, ma anche la priorità data a fornitori vicini alla propria sede, per diversificare i punti di approvvigionamento». 

Questo per cercare di fronteggiare l'aumento dei prezzi: sono i costi crescenti legati «all'energia, al trasporto, alle materie prime, l'assicurazione e, seppur in modo meno marcato, ai costi salariali a mettere in crisi le aziende.

Solo il 10% delle aziende è disposto ad accettare una riduzione dei margini di guadagno - Che solo per un 10% sono disposte ad accettare una riduzione dei margini di guadagno. «Più della metà ha aumentato i prezzi, soprattutto le piccole e medie imprese». Solo il 10% delle imprese svizzere ha invece ridotto il personale.

Qualche impresa, in questo tsunami commerciale, tenta il riorientamento in altri ambiti, ma il 61% degli intervistati dice che «vi è una mancanza di supporto da parte del governo». 

Da una crisi possono anche nascere delle opportunità - Da una crisi, anche profonda, però c'è anche chi vi vede la possibilità di fare nascere delle opportunità: «Ci sono imprese che spronate a diventare più sostenibili e a limitare il consumo di energia hanno trovato poi nuovi sbocchi di mercato». 

 

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