«Alcuni pazienti stentano a migliorare», ammette il dottor Pietro Antonini, responsabile dell'Ambulatorio Long Covid della Clinica Moncucco.
LUGANO - È una storia drammatica quella della 56enne basilese Daniela Caviglia. L’ex giornalista, affetta da Long Covid dalla primavera del 2022, ha scelto di ricorrere al suicidio assistito ed è morta lo scorso 8 agosto con l’aiuto di Exit. «Sto a letto fino a 22 ore al giorno. Sono sepolta viva nel mio appartamento», ha scritto Caviglia nel suo blog prima di accomiatarsi.
Intanto in Ticino sono centinaia le persone che continuano a soffrire di Long Covid, e alcune sono così debilitate che hanno ottenuto l’invalidità (AI). Ma esistono pazienti in condizioni gravi quanto quelle della basilese?
«Io personalmente non ho mai visto sintomi così estremi, anche se seguo pazienti che convivono con una stanchezza cronica importante e che hanno bisogno di dormire anche durante il giorno. Ho però sentito di casi simili parlando con dei colleghi che lavorano Oltralpe», spiega a Tio/20minuti il dottor Pietro Antonini, responsabile dell’ambulatorio Long Covid della Clinica Moncucco.
«In parte mi stupisce che una persona affetta da Long Covid sia arrivata a ricorrere al suicidio assistito, in parte no», continua riferendosi alla 56enne. «È vero che esistono problemi psichiatrici di tipo depressivo associati alla malattia, ma non sono molto frequenti e di solito sono delle esacerbazioni di fragilità preesistenti. Dall’altra parte c’è sicuramente della sofferenza legata al Long Covid: posso pensare che alcune persone la vivano in maniera traumatica e decidano addirittura di togliersi la vita».
«Come essere sempre in prima» - La problematica principale riscontrata tra i pazienti affetti da Long Covid è infatti una stanchezza cronica «che può persistere e diventare veramente molto tenace», sottolinea Antonini. «C’è chi anche dopo due o tre anni non migliora e si trova costretto a strutturare la propria vita in maniera differente. È un po’ come essere costantemente in prima, non si riesce mai a mettere la seconda o la terza, tantomeno la quarta o la quinta. Questo chiaramente pesa, sia in ambito lavorativo che sociale e familiare».
La vede un po’ diversamente la dottoressa Rita Monotti, responsabile dell’ambulatorio Long Covid dell’Ente ospedaliero cantonale. «Questo caso mi stupisce moltissimo, soprattutto il fatto che il Long Covid sia stato accettato come motivazione per l’assistenza al suicidio. Questa è sicuramente una condizione che implica sofferenza per alcune persone, anche intensa, ma è una malattia poco conosciuta, che in molti casi ha un’evoluzione favorevole, magari anche lentamente favorevole».
I criteri di Exit - Per soddisfare le condizioni di eligibilità al suicidio assistito «dobbiamo essere in presenza di un’importante sofferenza che renda la vita non più dignitosa», spiega dal canto suo Exit, precisando che «cosa sia una grave sofferenza dipende dalla percezione della singola persona». In tal senso, viene sottolineato, «è indifferente se la sofferenza è causata da una malattia conosciuta o meno e che essa sia fisica e/o psichica. In ultima analisi sarà poi il medico che, sulla base dei propri valori etici, deciderà se redigere o meno la ricetta per il medicinale letale. Valuterà inoltre se la persona desiderosa di morire è in grado di intendere e volere».