Maria Martignoni: «Tutta questa violenza mette i brividi»
GERUSALEMME - Nella religione ebraica lo shabbāt è il giorno del riposo. Il settimo. Quello consacrato a Dio. Ma nelle prime ore di sabato 7 ottobre, in quel giorno di festa, Hamas ha scatenato l'inferno. Oltre cinquemila missili sono infatti stati lanciati dalla Striscia di Gaza verso le città israeliane, provocando centinaia di morti e migliaia di feriti. E nel mirino degli attacchi è finita anche Gerusalemme.
Proprio nella Città, luogo santo per le tre principali religioni monoteiste e crogiolo di popoli e culture, abita da un anno la 34enne bellinzonese Maria Martignoni, che lavora come ricercatrice in bio-matematica nella locale Università. L’abbiamo raggiunta al telefono domenica pomeriggio. Chiusa in una camera del suo appartamento nella German Colony, quartiere tranquillo a un paio di chilometri dalla Città Vecchia, Maria ci racconta quello che lei e la sua famiglia - con lei vivono suo marito e i suoi cinque bambini tra i dieci e i due anni d’età - hanno vissuto nel giorno in cui Hamas ha dato inizio all’operazione “Alluvione al-Aqsa”. «Per prima cosa voglio mettere in chiaro che stiamo tutti bene», ci tranquillizza la 34enne.
Lo shabbāt era infatti iniziato in maniera normale. La sveglia. La colazione tutti insieme. Poi mentre Maria e la sua famiglia, tutti ancora rigorosamente in pigiama, stavano programmando una gita in bici la normalità è stata spazzata via. «Improvvisamente sono risuonate le sirene. E inizialmente siamo rimasti tutti un po’ sorpresi perché si trattava della prima volta che succedeva da quando abitiamo qui», ci racconta con la voce gonfia d’emozione Maria. «A quel punto siamo subito scesi nella camera blindata del nostro palazzo e lì siamo stati fino a che le sirene non hanno smesso di suonare».
Quindi la famiglia è tornata nell’appartamento. «Abbiamo cercato di capire cosa stesse succedendo, ci siamo vestiti e abbiamo preparato i soldi, i documenti e i pupazzi per i bambini». A cadenza regolare dal cielo hanno continuato a cadere i missili. E con la stessa frequenza Maria e i suoi cari si sono rifugiati nel bunker. «Fortunatamente grazie al sistema di difesa Iron Dome i razzi sono stati neutralizzati in volo. Noi dal nostro rifugio sentivamo il botto e vedevamo le pareti tremare».
Verso mezzogiorno, finalmente, le sirene si sono quietate definitivamente. E la famiglia di Maria ha potuto rientrare nell’appartamento. «Da allora non ci siamo più mossi da casa anche perché le scuole sono state chiuse (la domenica in Israele è come il nostro lunedì, ndr.) e lo rimarranno almeno fino a martedì», ci racconta. «La situazione è comunque irreale. Ma a fare più male è pensare a tutta la violenza che si sta perpetrando tutt’attorno. È una cosa che mette i brividi».
Prima di quella che ormai ha tutti i crismi di una guerra - domenica questa parola è stata usata anche dal gabinetto di sicurezza convocato dal premier Netanyahu - in Israele e nei territori palestinesi occupati risiedevano circa 28’000 svizzeri. Un numero che potrebbe ora calare. «Partire e lasciare il Paese? Lo abbiamo considerato. Per ora - conclude Maria - monitoriamo la situazione e cerchiamo di restare tranquilli, soprattutto per i nostri bambini».