I problemi, però, non mancano. «Servono decisioni politiche».
BELLINZONA - Qualche settimana fa, uno studio realizzato anche da autori svizzeri ha lanciato un allarme: a causa dell'aumento delle temperature e delle estati più secche, la qualità del luppolo è sempre più a rischio. Ergo, il cambiamento climatico minaccerebbe in maniera seria la produzione di birra in Europa e nella Confederazione.
La questione, come testimoniano alcuni addetti ai lavori, tocca però marginalmente il Ticino, un territorio costellato da parecchi birrifici (più di trenta) in gran parte artigianali. I problemi e le questioni da affrontare, però, non mancano.
«Al momento, non vediamo nessuna crisi né abbiamo segnali in questa direzione - commenta Jacopo Buraschi, birrificio Sottobisio - In realtà, il problema riguarda di più la trasformazione delle materie prime. In Ticino, per esempio, c’è solo una struttura che trasforma 500 chilogrammi in una settimana e non basta: ne servirebbero cinque volte tanto». Il luppolo viene prodotto in tutto il mondo «quindi non è così rilevante una “crisi” nella produzione a determinate latitudini. Al momento, non abbiamo mai riscontrato carenze». Alcune realtà grandi si devono confrontare con la difficoltà di trovare, per esempio, le bombole di anidride carbonica. «Noi non la usiamo per gasare la birra- continua Buraschi - quindi ce ne serve poca, circa due bombole al mese».
Piero Mannino, birrificio San Martino di Bioggio, sottolinea come il problema sia legato all’incremento dei costi: «L’anno scorso abbiamo dovuto fronteggiare aumenti importanti delle materie prime. Purtroppo, la logistica ha cambiato prezzo e noi acquistiamo malto e luppolo dai più grandi provider del settore»… Per il futuro, però, c’è ottimismo: «La birra è un prodotto di cui non si farà mai a meno - aggiunge - è uno dei settori del food & beverage più in espansione nel mondo. In futuro si troveranno soluzioni alternative, per esempio coltivando in posti diversi».
Luca Ferrara, birrificio Rud Bir di Gordola, sottolinea come i problemi del comparto non siano ascrivibili al cambiamento climatico. «Per le grandi realtà probabilmente il discorso è un altro - spiega - ma parlo da piccolo artigiano. E in questa “condizione” siamo circa tre quarti in Ticino. Per quanto ci riguarda, è relativo l’impatto dei possibili cambiamenti, presenti e futuri, legati alla coltivazione dell’orzo, dei cereali e del luppolo».
Però, non è stato un anno “esaltante”: «Qui, in generale, il consumo è maggiore quando il tempo è soleggiato e caldo. Quindi, se piove e fa freddo, generalmente le persone sono portate a bere meno birra. Siamo ancora molto stagionali, non c’è una cultura diffusa come, per esempio, in Belgio».
In Italia, inoltre, i dati descrivono un mercato in contrazione di circa otto punti. Una tendenza che rischia di arrivare anche in Ticino: «In pochi anni il numero di birrifici è decuplicato. Il discorso è simile in Svizzera. Si tratta di un incremento molto alto, specie se paragonato al numero di persone e alla densità abitativa». Così, di fronte a una ipotetica crisi, rischiano di restare in piedi solo le realtà più strutturate.
Come fare per invertire il trend? Servono scelte politiche adeguate. «Auspischiamo che gli investimenti che si fanno nel campo vitivinicolo si possano anche estendere a quello brassicolo. Visto comunque che la birra artigianale ticinese sta diventando una realtà culturale e come tale di fatto andrebbe aiutata». C'è invece una buona collaborazione all'interno del comparto: «Fra noi giovani imprenditori è possibile fare rete. Anche perché la nuova generazione è diversa e si collabora in maniera proficua.