La presa di posizione dell'Associazione Film Audiovisivi Ticinese (AFAT)
BELLINZONA - La controproposta di un canone a 300 franchi (e non a 200 come vorrebbe l'iniziativa “del dimezzamento“) di Albert Rösti non piace affatto ai professionisti ticinesi dell'audiovisivo.
Lo conferma una presa di posizione da parte dell'Associazione Film Audiovisivi Ticinese (AFAT) diffusa questo martedì mattina ai media.
La possibile “potatura” dell'obolo radiotelevisivo, infatti, «è motivo di profonda preoccupazione per il settore dell’audiovisivo svizzero e per le associazioni che lo rappresentano (...) poiché in quel caso la SSR non sarebbe più in grado di adempiere non solo alla sua funzione di servizio pubblico, ma anche al suo ruolo di coproduttore e partner indispensabile per la realizzazione di opere cinematografiche e audiovisive svizzere», spiega AFAT.
«Già danneggiata dalla precedente riduzione del canone (passato da 451.- nel 2018 a 335.- franchi), a cui si aggiungono il massiccio calo delle entrate pubblicitarie, l'aumento del numero di aziende esenti dal canone e la mancata indicizzazione del suo budget all’inflazione, la radiotelevisione pubblica svizzera non sarebbe semplicemente più in grado di garantire un’offerta culturale diversificata nelle quattro regioni linguistiche del nostro Paese», aggiunge l'Associazione che ribadisce come «l'industria audiovisiva e cinematografica si oppone fermamente a qualsiasi taglio dei finanziamenti al nostro ente di servizio pubblico nazionale».