Una pratica criticata come "giustizia a pagamento" che limita l'accesso alla giustizia per coloro con risorse limitate.
BELLINZONA - I reati contro l’onore hanno un costo. E non si tratta di quello che dovrà eventualmente risarcire il colpevole di ingiuria o diffamazione ma di quello che deve prevedere chi ne è vittima se vuole far valere le proprie ragioni davanti a un giudice.
Questo perché a chi ricorre per tali reati viene solitamente richiesta una cauzione. In Ticino tale somma è di circa 500 franchi. In tanti si sono domandati il perché di questo pagamento e in tanti ci hanno anche visto una sorta di forma di giustizia a pagamento, dove solo chi ha le risorse può permettersi di far valere le proprie ragioni e può andare a giudizio.
Per inquadrare il fenomeno va detto che, in base ai dati forniti dal Ministero Pubblico, «In media in Ticino vengono aperti circa 300 incarti all’anno per reati contro l’onore (diffamazione, calunnia, ingiuria)».
E da quando è entrata in vigore a inizio anno la modifica del codice di procedura penale, i pubblici ministeri di tutta la Svizzera possono chiedere al denunciante di «garantire eventuali spese e indennizzi» nel caso dei reati contro l'onore.
E così accade anche in Ticino dove appunto «di principio, dopo che viene sporta querela, si procede con una richiesta di cauzione entro un termine impartito. Questa richiesta si aggira intorno ai 500 franchi, con la precisazione che il querelante viene esentato dal versamento della cauzione se dimostra, con documentazione a supporto, l'assenza dei mezzi necessari», interviene il Ministero Pubblico spiegando cosa dice l’articolo relativo (303).
Ovviamente trattandosi di una cauzione, se il procedimento si chiude con un decreto d’accusa «l’importo viene restituito al querelante». In caso contrario se il procedimento sfociasse in un abbandono o in un proscioglimento, «l'indennizzo a favore dell'imputato è di regola addossato al querelante», specifica la polizia cantonale.
Di recente l'Associazione svizzera dei giuristi democratici (Agdt) si è pronunciata contro la nuova regolamentazione. «Se i pubblici ministeri non hanno le risorse per elaborare le denunce che ricevono, dovrebbero mettere in discussione le proprie strutture e priorità. L’accesso alla giustizia non deve dipendere dal portafogli», afferma Leandra Columberg, membro dell'Agdt. Inoltre viene criticato il fatto che sia la magistratura a decidere arbitrariamente quali denunce siano da considerare banali e quali no.