L'ex sciatrice sogna un Pantheon nel quale celebrare gli atleti che hanno lasciato un segno indelebile nelle rispettive discipline
BIASCA - Lara Gut-Behrami e Noé Ponti: i due sportivi d'élite ticinesi attualmente più noti, in virtù dei risultati ottenuti negli ultimi tempi. La 32enne ha dominato la stagione dello sci alpino, mentre il 22enne sta riscrivendo un record svizzero dopo l'altro e guarda con speranza alle Olimpiadi estive di Parigi.
Entrambi potrebbero trovare spazio in un museo speciale, che sarebbe dedicato allo sport (e ai suoi protagonisti della Svizzera italiana). L'idea è di un'altra atleta di primissimo piano: Michela Figini, capace di vincere 26 volte in Coppa del Mondo, di ottenere otto globi di cristallo e di portare a casa una medaglia d'oro sia alle Olimpiadi che ai Mondiali.
La 58enne gestisce da dieci anni un centro sportivo a Biasca, improntato sul padel. Anche se non era questo l'obiettivo principale, spiega a Watson. «Cercavo un terreno per il mio progetto di museo dello sport ticinese». Figini ha pensato a un luogo nel quale onorare le eccellenze cantonali.
«Il nostro Cantone ha dato i natali a grandi sportivi, non solo nello sci, nell'hockey su ghiaccio e nel calcio. Penso, ad esempio, al pilota automobilistico Clay Regazzoni, alla nuotatrice Flavia Rigamonti, al giovane collega Noé Ponti, ai ciclisti Mauro Gianetti ed Emilio Croci-Torti, e tanti altri. Probabilmente non abbiamo abbastanza spazio per tutti i nostri eroi ed eroine».
Gut-Behrami avrebbe sicuramente un posto di primo piano: «È una sciatrice completa, con una carriera lunga e fantastica». Il museo darebbe risalto ai protagonisti più amati dal pubblico (tra i quali, ovviamente, dovrebbe trovare posto la stessa Figini), ma anche a quelli magari meno noti. È il caso di Georges Miez: «Nacque sì a Winterthur, ma venne poi in Ticino e si fece chiamare Giorgio. Negli anni '20 e '30 vinse otto medaglie olimpiche: quattro d'oro, tre d'argento e una di bronzo. È quindi ancora oggi l’atleta svizzero di maggior successo della storia alle Olimpiadi».
«Sono queste le storie che vorrei raccontare in un museo o in una mostra», conclude. «Per i giovani atleti è estremamente motivante vedere tutto quello che è stato fatto e tutto quello che è possibile fare».