Arnaldo Caccia ha partecipato oggi alla cerimonia in ricordo delle diciassette vittime dell'attentato terroristico al Caffè Argana.
Nel 2011 la follia islamista provocò la morte di sua figlia, di Corrado Mondada e di André Da Silva Costa.
Come ogni 28 aprile da tredici anni a questa parte (fu assente solo nel 2020 e 2021 a causa della pandemia di Covid-19 che imperversava in Europa) Arnaldo Caccia è tornato sul luogo della tragedia che - suo malgrado - ha cambiato la sua vita per sempre. In Marocco. A Marrakech. Nei pressi del Caffè Argana. Là dove la furia jihadista colpì nel 2011 piazzando una bomba che uccise diciassette persone.
Tra le vittime vi furono anche tre ticinesi: sua figlia Cristina, Corrado "Mondo" Mondada e André Da Silva Costa. «Da quel giorno non è cambiato niente. È come se fosse accaduto ieri», ci aveva confidato nel 2021 Arnaldo in concomitanza con il decimo anniversario del dramma. Una tragedia che colpì come un pugno allo stomaco tutto il Cantone. E che ogni anno - il 28 aprile - fa riaprire una ferita mai del tutto sanata.
Anche quest'anno Arnaldo Caccia ha quindi voluto presenziare - rappresentando anche le altre famiglie ticinesi coinvolte - alla tradizionale cerimonia svoltasi a fianco della stele commemorativa posta un anno dopo l’attentato in ricordo delle vittime innocenti di quella follia. In ricordo della sua Chichi. Del Mondo. E di André.
L'attentato - L'esplosione avvenne alle 11.30 ora locale (le 12.30 in Svizzera) all'interno del Caffè Argana, sulla centralissima piazza Jamaa el Fna. Il locale, molto frequentato dai turisti, fu praticamente raso al suolo da un ordigno artigianale fatto esplodere a distanza. La terribile deflagrazione provocò la morte di diciassette persone - otto francesi, tre svizzeri, due marocchini, un russo, un canadese, un britannico e un olandese - e il ferimento di altre venticinque. Per l'attentato furono condannate nove persone. Per i due principali responsabili - Adil Al-Atmani e Hakim Dah - venne richiesta la pena capitale, ma i difensori dei famigliari delle vittime nel corso del processo ribadirono la loro contrarietà a questa condanna per non trasformare gli artefici dell'attentato in "martiri".