Disastro in alta Vallemaggia: Leandro e Miro non sono passati per le vie ufficiali. Il racconto di due giovani intraprendenti e coraggiosi.
PIANO DI PECCIA - Due giovani, un grande cuore. Leandro Monaci, 22 anni, e Miro Patocchi, 27, rappresentano il volto generoso dell'estate altovalmaggese. Dopo il disastro di fine giugno, si sono subito rimboccati le maniche come volontari. E, nel giorno in cui le autorità decretano la fine dell'emergenza, lo dicono entrambi senza spocchia: «Non abbiamo aspettato che qualcuno dall'alto ci desse il via libera. Conoscevamo un sacco di gente del posto e ci siamo messi al lavoro da subito».
Il dialetto e la semplicità – Alcune storie semplici meritano di essere raccontate. Come quella di questi due ragazzi che parlano dialetto e che si conoscono da sempre. Da una parte c'è Leandro che è originario della Lavizzara ma che vive nel Bellinzonese ed è studente in diritto a Lucerna. Dall'altra c'è Miro che è domiciliato proprio al Piano di Peccia e che è ingegnere civile.
La notte al capannone... – Miro, la notte tra il 29 e il 30 giugno, si trovava al campo Draione. Nel capannone in cui sono rimaste isolate diverse persone che stavano partecipando alla festa del torneo. «Notte fredda e bagnatissima – rammenta –. La pioggia a un certo punto ha iniziato a picchiare secco. Quella sera lavoravo in cucina. Per me doveva essere una serata spensierata visto che ero appena diventato ingegnere».
... E quella a festeggiare la Svizzera – Leandro ha vissuto gli eventi decisamente più in differita. Dalla pianura. «Quella sera giocava la Svizzera – spiega –. La mia intenzione era quella di salire al Piano di Peccia sul tardi. Ma visto che la Svizzera alla fine ha battuto l'Italia sono rimasto giù a fare festa ed è andata per le lunghe. Non sono mai salito. E probabilmente è stata una fortuna».
L'ultimo messaggio – "Qui viene giù il mondo". È l'ultimo messaggio mandato da Miro alla sua morosa prima che le telecomunicazioni con l'alta Vallemaggia si interrompessero. «Anche per questo il giorno dopo non ho atteso di essere evacuato in elicottero. Dovevo fare sapere alla mia compagna che stavo bene. Sono partito a piedi dal campo, attraversando un ponticello che conoscevo. Poi sono sceso piano piano verso Cevio».
«Ero sconvolto» – Miro attraverserà anche diverse zone franate. «A un certo punto qualcuno mi ha dato anche un passaggio, lungo le tratte transitabili. Ricordo che all'inizio ero piuttosto sconvolto. Scioccato. La prima parte del tragitto è stata dura psicologicamente. Sono arrivato a Cevio alle cinque del pomeriggio stremato».
Un padre in lacrime – «Io alla domenica mattina mi sono alzato e ho iniziato a vedere notizie catastrofiche – aggiunge Leandro –. Però non c'erano particolari informazioni sui partecipanti alla festa e al torneo. Non circolavano immagini sulla Lavizzara. Solo col passare delle ore ho capito cosa era accaduto, dopo avere sentito mio padre quasi in lacrime. Mi disse: "guarda che la nostra valle non c'è più". E infatti quando il giorno dopo sono salito per la prima volta al Piano di Peccia distrutto mi è venuto un enorme magone».
«Con la testa sulle spalle» – Miro in quel momento era già al lavoro. «Ho un "ragno" e ho iniziato a sgombrare i piazzali. Quello che si poteva insomma. Vedevo che le prime persone aiutate erano contente. E allora ho pubblicato su Instagram un messaggio per cercare aiuto. Una tipa si è fatta avanti immediatamente. È salita con Leandro. Abbiamo portato su una quindicina di volontari al giorno. Giù al ponte di Cevio gli agenti capivano che eravamo responsabili e con la testa sulle spalle. E quindi non ci facevano storie».
Conforto – «La gente al Piano di Peccia si sentiva allo sbaraglio – dice Leandro –. Perché nei primi giorni non c'erano particolari aiuti. Le persone avevano bisogno di confidarsi, di sfogarsi. Era bello dare loro conforto. C'erano detriti e sabbia ovunque. Con pale e carriole abbiamo svuotato diverse cantine. Sono stati giorni emozionanti. Sappiamo di non essere passati dalle vie ufficiali. Ma non ci siamo mai messi in pericolo. Conosciamo bene il posto. E sapevamo che anche solo la nostra presenza poteva portare un po' di conforto, di calore umano».
Volontari da tutta la Svizzera – «Sono arrivate persone da tutta la Svizzera tramite il nostro annuncio – precisa Miro –. Gente che non aveva mai visto il Piano di Peccia. E che era anche felice di conoscere la storia di questo posto. Noi gliela raccontavamo volentieri. Le case erano strapiene di fango. Non potevano immaginarsi come fosse prima».