Il giovane è stato ordinato sacerdote sabato scorso. «Alle medie volevo fare il cuoco, poi ho capito che non faceva per me», racconta.
LUGANO - Da Davide a Don Davide. È una vera e propria trasformazione quella vissuta pochi giorni fa dal 26enne momò Davide Santini, che è stato ordinato prete sabato scorso. Già, perché, lo sottolinea lui stesso, «il prete non lo si fa, ma lo si è».
«Sono nato e cresciuto a Vacallo», racconta a Tio/20Minuti. «Alle medie volevo fare il cuoco, ma poi ho capito che non faceva per me. Ho deciso di andare al liceo e la scelta di diventare prete l'ho presa proprio tra i 16 e i 17 anni».
«Una grande emozione» - Una scelta sicuramente di peso, questa, maturata però nella più totale semplicità. «Non c'è stato nessun evento straordinario o rivelazione: a portarmi su questa strada è stata semplicemente la quotidianità di una vita vissuta nella mia parrocchia, a scuola, con i miei amici e con la mia famiglia. Ho cominciato a fare il chierichetto intorno alla mia prima comunione, poi ho assunto nuove responsabilità, dando una mano in oratorio». E mentre il tempo passa e amici e parenti chiedono "Cosa farai dopo il liceo?", Davide inizia a interrogarsi: «Pensavo "Cosa sento davvero?". E da questo è nata la mia vocazione».
Ma cosa si prova a essere preti a 26 anni? «È una grande emozione e una grande gioia», ci dice, con gli occhi che brillano, il giovane sacerdote. «Questa è una tappa importante nel mio cammino vocazionale, ma sono consapevole che il vero cammino comincia adesso».
«C'è chi l'aveva capito prima di me» - Ad accompagnare il giovane momò su questo cammino ci sono poi amici e parenti, che, ci spiega Don Davide, non hanno manifestato particolare stupore di fronte alla sua decisione. «Molti di loro avevano intuito che sarei potuto diventare prete, quindi è stata una cosa abbastanza naturale. Qualcuno forse ci ha messo un po' di più a elaborare il tutto, perché è una scelta importante, che va compresa e accettata, ma ho sempre avuto il sostegno di tutti e non mi sono mai sentito messo da parte o preso di mira. Va detto comunque che molte persone che mi incontravano in parrocchia quando ero più piccolo avevano capito prima di me che avrei fatto il prete».
«Non sento di essermi privato di qualcosa» - Certo, essere prete significa anche sottostare al celibato ecclesiastico, ergo no matrimonio e no rapporti sessuali. «Il celibato è di sicuro una parte essenziale della riflessione da fare quando una persona decide di diventare prete. È un qualcosa che diventa parte della tua vita e non può essere trascurato, perciò ho soppesato questo aspetto in maniera approfondita. La conclusione a cui sono giunto è che non vedo il celibato come un limite, perché è ciò che permette di donare completamente la propria vita agli altri. Non sento quindi di essermi privato di qualcosa avendo fatto promessa di celibato».
Preti-influencer - Ma se le tradizioni rimangono ben radicate, è evidente che anche il clero negli ultimi anni ha cercato di modernizzarsi. Diversi preti hanno ad esempio iniziato a utilizzare i social media per diffondere contenuti religiosi, e alcuni di loro, anche nella vicina Italia, hanno accumulato centinaia di migliaia di follower. «Anch’io utilizzo i social e alcuni di questi preti li conosco di persona», sottolinea Don Davide. «Posso testimoniare che fanno davvero una buona missione di evangelizzazione, nel senso che tante persone possono entrare in contatto con la parola di Dio attraverso questi canali, e ben venga se una persona può sentirsi accolta dalla Chiesa in questa modalità. Il messaggio che vuole veicolare la Chiesa resta lo stesso, ma vogliamo essere capaci di diffonderlo anche attraverso mezzi di comunicazione più attuali».
Anche il neo sacerdote, in effetti, utilizza i social media: «Sono Don Davide anche sul mio profilo e mi piace condividere le varie tappe del mio percorso. Non credo però di avere il carisma adatto per produrre contenuti ogni giorno ed essere così tanto attivo sui social».
L'ombra degli abusi - C'è però un tema specifico che, oggi più che mai, preoccupa i fedeli: quello degli abusi sessuali nella Chiesa. Un anno fa, lo ricordiamo, è stato pubblicato il rapporto dell’Università di Zurigo sugli abusi sessuali nella Chiesa svizzera, il quale ha rivelato oltre un migliaio di casi tra il 1950 e il 2022. Recentemente un prete ticinese, nonché insegnante al Collegio Papio di Ascona e al Liceo di Savosa, è inoltre stato arrestato per sospetti abusi su un minore.
«C'è volontà di cambiare e assumersi le colpe» - «Il fatto che lo studio dell’Università di Zurigo è stato voluto dalla Chiesa (venne commissionato dalla Conferenza dei vescovi svizzeri ndr.) e che c’è stata trasparenza rispetto ai casi di abusi emersi più o meno recentemente dimostra che c’è volontà di cambiare, di riconoscere gli errori fatti e di assumersi le responsabilità e le colpe, il che è già un grande passo», sottolinea Don Davide. «Non ho una ricetta risolutiva, e niente potrà riparare le sofferenze delle vittime, ma penso che ogni passo che viene fatto è importante».
Qualcosa, intanto, sembra muoversi. «Durante la mia formazione ho seguito un Corso di prevenzione agli abusi, organizzato dalla Diocesi di Lugano in collaborazione con la Fondazione ticinese per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia (ASPI)», ci dice infine il neo sacerdote. «Quest'anno tutti i preti e i seminaristi ticinesi dovranno inoltre seguire un corso di aggiornamento».