L'associazione New Ability è a rischio sopravvivenza. La presidente Giada Besomi: «Dopo 13 anni siamo costretti a chiedere aiuto»
LAMONE - Dopo anni spesi ad aiutare le persone in difficoltà, a questo giro, è un'associazione a chiedere aiuto. Si tratta della New Ability di Lamone che, stando alle parole della sua presidente Giada Besomi, rischia di chiudere i battenti. «Per la prima volta, dopo 13 anni dall'inizio del progetto, ci troviamo a fare appello al buon cuore della popolazione, perché con le sole nostre forze non riusciamo più ad andare avanti. Da sempre ci autofinanziamo grazie ai fondi devoluti da diverse fondazioni estere. Negli ultimi tempi, però, sono sempre di più quelle che decidono di sostenere altri progetti. Decisioni su cui non discutiamo ma che ci mettono di fronte a una triste realtà: con il recente aumento delle richieste di aiuto provenienti dal territorio stiamo facendo davvero fatica. Il carico di lavoro delle nostre assistenti sociali (una assunta e una volontaria in pensione) è aumentato notevolmente. Ci mancano le capacità finanziarie per continuare questi servizi di aiuto sociale». Anche perché, puntualizza Besomi, «essendo un’associazione privata, non riceviamo sostegno statale. Poiché lavorando con tutte le persone vulnerabili, non rientriamo in vere e proprie categorie finanziabili».
Conosciuta sul territorio, in particolare, per le attività di tempo libero dedicata a persone con vulnerabilità e affette da disabilità, New Ability dal 2015 a oggi è diventata punto di riferimento persino per chi si trova ad affrontare un periodo buio della propria vita. Ogni anno corre in aiuto di circa duemila persone fragili. Sono soprattutto coloro che appartengono alle cosiddette aree grigie e che, per una ragione o per un'altra, non riescono ad accedere agli aiuti cantonali.
Chi si rivolge a voi?
«Tante sono richieste d'aiuto da parte di vittime di violenza domestica, di sostegno a famiglie con più figli in cui uno dei genitori è rimasto senza lavoro e sono nella fase di riconoscimento degli aiuti. Ci sono poi persone soprattutto ultracinquantenni che hanno esaurito la disoccupazione e non riescono a rimettersi sul mercato. Persone che richiedono i riconoscimenti di invalidità per malattia. Altre sono arrivate da noi per situazioni di paura sociale, burnout, difficoltà a relazionarsi per crolli emotivi e che cercano un gruppo dove poter stare senza alcun giudizio. Ci arrivano poi segnalazioni di enti oberati di lavoro. Nell'ultimo anno abbiamo avuto un incremento del 25%».
Quale supporto offrite?
«Quando arrivano da noi, li ascoltiamo, li accogliamo e poi li aiutiamo a trovare la via giusta per entrare in un sistema di aiuto che può essere quello cantonale o quello privato di altre associazioni. Oppure riusciamo con le nostre risorse o con la nostra rete sociale a dargli altre possibilità».
Perché una persona vittima di violenza, ad esempio, sceglie di rivolgersi a voi piuttosto che alla polizia?
«Spesso hanno difficoltà ad andare dalle autorità. A volte manca proprio il coraggio di prendere una decisione. Noi li accompagniamo. A volte fa persino paura sapere di essere soli davanti a un avvocato. Non sanno a volte come uscirne. Spesso ci sono di mezzo figli o sono vittime di violenza psicologica. Noi offriamo un servizio di accompagnamento. Negli ultimi quattro mesi, abbiamo avuto cinque casi».
Se una persona volesse sostenervi come può fare?
«Abbiamo lanciato una campagna con l'obiettivo di raccogliere 30mila franchi entro fine anno. Altrimenti la parte dedicata all'aiuto sociale dovrà essere sospesa. Chi desidera aiutarci può fare una donazione sul nostro conto corrente o tramite Twint».