Luisoni, presidente dell'associazione dei macellai: «Differenze spesso minime. Incidono di più cottura, taglio e frollatura».
LUGANO - I nostri frigoriferi vengono riempiti sempre più spesso con carne a buon mercato. A sostenerlo è Stefan Flückiger, presidente di Faire Märkte Schweiz (FMS). Secondo l'associazione, che lotta per mercato più equi, trasparenti e concorrenziali, il problema è dei rivenditori, che starebbero rendendo troppo allettante il segmento low cost, con differenze di prezzo al banco che non coinciderebbero minimamente con i costi effettivi di produzione.
Il dilemma però, per il consumatore finale, potrebbe essere un altro. Questa carne a basso costo è di qualità inferiore? E quali sono le differenze, a livello di gusto e organolettico, tra la carne a buon mercato e quella fregiata con le migliori certificazioni? Lo abbiamo chiesto a Roberto Luisoni, presidente dell'associazione mastri macellai salumieri Ticino e Mesolcina.
«Lo dico in maniera molto chiara: tante volte non c'è differenza. Alcuni label o certificazioni rendono sì la carne più cara, ma non sempre questo sovrapprezzo corrisponde a una qualità diversa. È difficile parlare di carne di prima e di seconda scelta al di fuori dei classici indicatori che sono l'età, come la bestia è stata ingrassata o le percentuali di grasso e muscolo. Una valutazione che già avviene tramite il cosiddetto metodo CH-TAX, stabilito dall'ordinanza dell'Ufficio federale dell'agricoltura (UFAG)».
Bio non significa migliore?
«No, significa che il produttore ha seguito le regole del biologico: quindi ha rispettato una determinata provenienza del foraggio, ha limitato l'uso di alcuni integratori, etc. È chiaro che se un allevamento ha 200 mucche farà più fatica a seguire norme così stringenti. Gli stessi allevatori Bio ultimamente si stanno ribellando. Anche perché gli spazi sono sempre meno e i costi sempre più alti. Senza che Bio voglia poi dire necessariamente migliore. Ricordiamoci che la Svizzera è già uno dei paesi più severi dal punto di vista della regolamentazione di chi fa questo mestiere».
Quanto incidono realmente i costi di produzione sulla differenza di prezzo tra la carne biologica e quella convenzionale?
«Va detta una cosa: il macellaio non compra il filetto, l'entrecôte o lo scamone Bio. Compra una mezzena Bio, che è l'intera carcassa dell'animale, la paga di più, ma ne tira fuori solo una parte che poi venderà come biologica. Il resto diventa macinato, spezzatino, bollito e brasato. Non tutto si può rivendere a prezzi Bio, perché non sempre il mercato richiede questi pezzi. Quindi finisce sul banco con lo stesso prezzo, o quasi, della carne non certificata. È per questo che il biologico costa molto di più».
I consumatori sono davvero attratti più dal prezzo che dalla qualità, oppure c’è un crescente interesse per prodotti più sostenibili e tracciabili?
«Dipende. Chi crede nel biologico, magari è disposto a mangiare un po' meno carne e a spendere un po' di più. Da quello che si evince guardando al mercato è comunque una minoranza. Anche perché, forse, quando si vede che tutto costa di più, in linea di massima si è costretti a un compromesso. E, ripeto, la carne a basso costo non sempre è poi così diversa dalle altre».
Sta dicendo che sia essa Bio o primo prezzo, alla fine, ha lo stesso sapore e qualità?
«Non si può generalizzare. Sicuramente per la carne economica, sulla base della classificazione CH-TAX, si usano le bestie qualitativamente inferiori. Ma si tratta di carne allevata come le altre, solo appartenente a una bestia più anziana, o più o meno grassa rispetto a ciò che lo standard richiederebbe. E stiamo parlando di manzo. Sul maiale, recentemente, ho visto dei filetti “prix garantie” e “budget”, che erano praticamente identici a quelli venduti a prezzo più alto».
Quali consigli darebbe a un cliente per riconoscere una carne di buona qualità e fare acquisti più consapevoli?
«È difficile dirlo. Ci vuole occhio e ognuno ha le sue esigenze. Di solito la carne buona ha un po' di grasso, che serve a renderla più tenera, ma c'è chi la vuole con la minor percentuale di grasso possibile. Va un po' a gusti. La differenza poi la può fare il taglio, il trasporto, la frollatura o anche la cottura. Una carne tagliata male risulterà dura, lo stesso se non è cotta a dovere. Una frollatura sbagliata la può rendere inutilizzabile. Come tutte le cose, poi, ci vuole maestria. Per sceglierla, per trattarla, per prepararla».