
Alessandro ha un passato duro nella droga. La sua rinascita diventa pubblica. Ma fino a un certo punto. Resta la paura dello stigma.
LUGANO - Ha deciso di pubblicare il suo diario. "Qualcuno leggerà le mie parole" (Flamingo Edizioni) ripercorre di fatto la rinascita di Alessandro B., giovane uomo del Luganese uscito dal tunnel della droga. «Voglio lanciare un messaggio di speranza ai più giovani», dice. Anche se poi c'è un aspetto controverso. Tutte le presentazioni pubbliche Alessandro le farà con un passamontagna sul volto.
La "prima" è prevista per domenica 23 marzo (ore 13.30) al FestivalLibro di Muralto. Perché non mostrare il proprio viso?
«Ho progetti interessanti dal punto di vista professionale. Preferisco mantenere l'anonimato».
Anche il nome dell'autore è di fantasia, è uno pseudonimo. C'è paura di uno stigma?
«In pratica sì. È così. Si fa davvero in fretta a etichettare le persone».
Come e quando sei entrato in contatto col mondo della droga?
«Ho iniziato molto presto. Già alle scuole medie. Ho fatto uso di diverse sostanze. Poi la cosa si è protratta nel tempo».
In che modo?
«Per anni ho fatto uso di droghe a scopo puramente ricreativo. Fino al momento in cui la mia vita è cambiata. Ho avuto esperienze personali forti. E poi mi sono chiuso in me stesso. Buttavo tutto nella droga per cercare di non pensare a come risolvere determinate situazioni delicate».
Quando dici droghe a che sostanze ti riferisci?
«Principalmente cocaina. La mischiavo con l'alcol».
Quando hai deciso di dire basta?
«Una mattina mi sono svegliato e mi sono accorto che avevo perso tutto quello che avevo di bello nella vita. Mi sono detto che così non potevo andare avanti e che dovevo fare qualcosa. A quel punto ho deciso di farmi ricoverare di mia spontanea volontà».
E così è iniziato il tuo percorso.
«Sì. Sono stato alla clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio per tre settimane. È lì che ho cominciato a scrivere il mio diario. In quelle tre settimane ho trovato una nuova routine che mi ha permesso gradualmente di tirarmi fuori dalle mie dinamiche di dipendenza».
Perché un diario?
«Sentivo la necessità di buttare fuori quello che stavo vivendo in quel momento. È stato terapeutico. E poi volevo dare un senso alle cose. Forse le mie parole avrebbero potuto aiutare qualcuno che si trovava nella stessa situazione».
Cosa serve nella normalità per non più ricascare nel baratro?
«La capacità di potersi guardare dentro. E di capire quante cose belle abbiamo nella vita, nonostante le difficoltà».
Da qualche parte dentro di te c'è la paura di finire di nuovo nel mondo della droga?
«Assolutamente no. Perché la mia coscienza ora mi impone di non ripetere esperienze del genere. La differenza la fa la consapevolezza».