La ndrangheta usa la Svizzera come sua base per il riciclaggio attraverso la compravendita di immobili, ma non solo. La polizia federale mette in guardia. E Svizzera e Italia intensificano la collaborazione per contrastare le organizzazioni criminali
LUGANO - In un reportage, andato in onda in prima serata lo scorso 14 aprile sul primo canale pubblico ARD, la mafia italiana in Germania è stata definita "subdola, invisibile e più pericolosa che mai. Una mafia imprenditrice, dagli abiti eleganti, che non spara". Un documento inquietante che ha mostrato come le organizzazioni criminali italiane trovino in Germania l'humus ideale per ampliare il loro terreno di conquista. Nei grandi cantieri, con il lavoro nero, nel business dell'energia rinnovabile. In Germania la mafia fa grandi affari. L'Italia è in crisi, ma è anche dotata di strumenti antimafia che al di fuori dei confini italiani non esistono: per le organizzazioni criminali è più facile andare all'estero. E mentre in Germania, grazie al dibattito generato dal reportage, si sta prendendo coscienza, seppur con lentezza, del fenomeno, in Svizzera, e soprattutto nel nostro Cantone, il Ticino, la ndrangheta ha già fatto parlare di sé.
Una mafia silenziosa, che usa rarissimamente la violenza in modo esplicito, ma che preferisce servirsi dei criminali che si muovono all'interno della piazza finanziaria, investire in società commerciali e di servizio, in particolare nel campo immobiliare e finanziario, così come nel settore della gastronomia e della ristorazione. Una mafia che usa la Svizzera come una sorta di hinterland tranquillo, calmo e silenzioso ai confini con l'Italia.
Per far comprendere quanto sia vicina noi la mafia, la Handelszeitung ricorda un caso emblematico che conferma quanto ormai la 'ndrangheta sia ormai stabile in Lombardia e possa contare della vicinanza di un Ticino dove le leggi liberali consentono di muoversi in assoluta tranquillità. Il caso risale al novembre 2012, quando, in un'operazione di polizia chiamata "Blue Call" furono spiccati una ventina di ordini di cattura nei confronti di persone legate al clan Bellocco, una potente 'ndrina di Rosarno. Nell'ambito di quella vasta operazione antimafia furono eseguite perquisizioni domiciliari e arresti anche in Svizzera. Le persone coinvolte erano sospettate di appartenere a una organizzazione criminale di stampo mafioso, di possesso illegale di armi e di rapine a mano armata. Ma non solo...
Tra di loro compariva il nome di Carlo Antonio Longo, considerato una sorta di intermediario della 'ndrangheta in Ticino. Arrivato nel 2008 nel nostro Cantone insieme alla sua famiglia, era a capo della Helvicorp Realinvest SA, una società allora attiva (oggi in liquidazione) - si legge nel registro di commercio - nella "progettazione, costruzione e ristrutturazione di fabbricati civili e industriali, come pure la loro rivendita anche frazionata, nonché la gestione, la vendita, la locazione, il leasing e l'amministrazione delle proprietà sociali". E poi ancora: "La demolizione, la sistemazione di terreni ed ogni attività di promozione e di sviluppo in campo immobiliare. La società potrà partecipare ad altre imprese aventi scopo analogo o simile".
Appena arrivato in Ticino, Longo si è messo subito ad investire ingenti somme di denaro. Dapprima ha acquistato un terreno a Caslano per 400mila franchi, poi si è comprato una casa a Rovio per 130mila franchi e l'ha rivenduta. Qualche tempo dopo Longo si è comprato un altro immobile per 340mila franchi. Come è riuscito a disporre di tutto quel denaro? Come si legge in un articolo del Caffé del 2 dicembre del 2012, Longo dichiarava un guadagno di 5000 franchi lordi al mese e abitava dapprima a Carona e poi a Montagnola in un appartamento da 3000 franchi al mese.
Longo è stato accusato di aver riciclato denaro dei Bellocco e di essere stato il regista delle strategie della famiglia Bellocco, che si è impossessata della Blue Call, azienda milanese di call center che contava fino al 2010 quasi mille dipendenti e un volume d'affari di oltre 13 milioni di euro, prima di esser svuotata e trasformata nel giro di poco più di un anno in uno zombie della 'ndrangheta.
Quella di fine 2012 è stata un'inchiesta a 'quattro teste' coordinata dalle Dda di Milano e Reggio Calabria, dalla Procura di Palmi e dal Ministero Pubblico della Confederazione (MPC) e che ha visto in azione polizia e carabinieri e anche il Gico e la Gdf di Milano, che hanno sequestrato beni per 10 milioni di euro (12 milioni di franchi svizzeri).
Una collaborazione tra la Svizzera e l'Italia che mercoledì il Consiglio federale ha rafforzato attraverso l'adozione del relativo messaggio che si rifà al nuovo accordo, che sostituisce quello in vigore dal 1998, firmato lo scorso 14 ottobre a Roma tra la consigliera federale Simonetta Sommaruga e il ministro dell'Interno italiano Angelino Alfano.
L'accordo introduce tutta una serie di misure che "consentiranno alle autorità inquirenti svizzere e italiane di rendere più efficace la lotta comune contro la criminalità transfrontaliera.In Svizzera le nuove disposizioni in materia di cooperazione favoriranno in particolare l’Ufficio federale di polizia, l’Amministrazione federale delle dogane e le autorità di polizia cantonali.
L’Accordo agevola in particolare lo scambio d’informazioni tra le autorità svizzere e italiane, il coordinamento di misure congiunte e il distaccamento di unità d’intervento, consentendo a quest’ultime di partecipare a operazioni condotte dagli agenti dell’altra Parte contraente. Inoltre, prevede l’assistenza reciproca in caso di eventi di vasta portata, catastrofi e sinistri gravi.
In virtù del nuovo Accordo, Svizzera e Italia avranno altresì la possibilità di formare pattuglie miste e di svolgere servizi di scorta oltre frontiera. Le norme relative alle osservazioni e agli inseguimenti transfrontalieri sono infine più ampie e dettagliate rispetto alle pertinenti disposizioni di Schengen.