«Se veniamo espulsi la nostra vita è finita», così i due fratelli a processo per il pestaggio del 18enne.
Ma negano di aver mai usato una bottiglia di vetro per colpire la vittima.
LOCARNO - Non erano nuovi al crimine e al carcere, i due fratelli oggi a processo per il loro coinvolgimento nel pestaggio che lo scorso 4 dicembre a Locarno ha mandato un 18enne in ospedale. I due, di origini irachene ma residenti a Bellinzona, hanno infatti precedenti al Tribunale dei minorenni. E ora rischiano l’espulsione dalla Svizzera.
La bottiglia di vetro - Già, perché la loro versione dei fatti, in cui viene ammessa, ai danni della vittima, una semplice scrollata da parte del fratello più giovane e tre pugni, seppur forti, da parte di quello più grande, si allontana da quella di altri testimoni presenti sulla scena. Il taglio in faccia e quello alla testa riportati dal 18enne, secondo almeno tre persone, sarebbero infatti stati causati da dei colpi inferti con una bottiglia di birra dal fratello 19enne. Che però nega.
Un testimone «vendicativo» - «Io ho avuto diverbi con una delle persone che ha testimoniato, e lui ce l'aveva con me. Perciò ha dichiarato il falso, l’ha fatto per vendetta. Quello che dice lui non è affidabile. Inoltre le versioni delle persone che parlano della bottiglia di vetro non sono tutte uguali. Come mai?».
Violenza in famiglia - Il confronto fisico, ammettono però, è qualcosa che i due si portano dentro fin dall’infanzia. «Sono stato cresciuto nella violenza, l’ho vissuta in casa», così il fratello più giovane. «Mio padre metteva le mani addosso a noi e a mia madre».
Al giudice Siro Quadri, però, non basta: «La violenza c’era in casa, ma lei l’ha dimostrata anche fuori». «Sì», conferma il ragazzo, «ed ho sbagliato. Ho iniziato a usare la violenza quando avevo 15 anni. Adesso non sono cambiato, ma sto cambiando. In questi mesi di carcerazione ho sofferto psicologicamente, ma ho avuto modo di riflettere su quello che ho fatto e ho deciso di iniziare un percorso psicoterapeutico».
«Deluso da me stesso» - Anche il fratello maggiore ammette le sue colpe: «Sono stato in un foyer per cinque anni, cercando di seguire un percorso educativo, cosa che non ha funzionato per colpa mia. Sono deluso da me stesso e da mio fratello. Mi dispiace per le vittime, perché al posto loro poteva esserci qualcun altro».
E conferma di aver vissuto un’infanzia complicata: «Fin da piccolo mi è stato insegnato di mettere le mani addosso quando le ricevevo. So che abbiamo sbagliato ma quello di cui ho bisogno è una possibilità per ricominciare».
«La mia vita finirebbe a 19 anni» - La possibilità dell’espulsione, sollevata dal giudice, sembra far paura a entrambi. «Siamo qui in Svizzera da 13 anni e se dovessimo tornare in Iraq saremmo in un paese che praticamente non conosciamo».
«I ricordi che ho lì sono solo brutti. Se dovessi essere espulso la mia vita sarebbe praticamente finita a 19 anni», conclude il fratello più giovane.