Non riconosciuta l'accusa di tentato omicidio intenzionale (a differenza della violenza carnale). Espulsione di 10 anni per l'uomo
LUGANO / BELLINZONA - Otto anni di detenzione. È la condanna decisa dalla Corte delle Assise criminali di Lugano, presieduta dal giudice Mauro Ermani, nei confronti di un 36enne cittadino serbo del Sopraceneri, da ottobre 2023 in carcere. L’uomo sarà anche espulso dalla Svizzera per 10 anni.
I reati - Non riconosciuto il reato di omicidio intenzionale tentato e ripetuto. L’imputato è stato però ritenuto colpevole di diversi capi d’accusa come violenza carnale, coazione sessuale, coazione, ripetuta violazione del dovere di educazione, lesioni gravi e semplici e truffa.
La sentenza - Una vicenda, come sottolineato da Ermani «espressione di una relazione tossica e malata», che non ha risparmiato sofferenze alle bambine. Queste ultime, hanno descritto un ambiente familiare «tutt’altro che sano e armonioso», in cui «il maschio è il maschio», e la moglie «non deve rompere le scatole».
I principali reati - Le violenze contro la moglie (oggi ex coniuge), scritte nel corposo atto d’accusa, coprivano un intervallo temporale di oltre un decennio e andavano dal tentato omicidio intenzionale ripetuto (sette gli episodi riportati) alle lesioni gravi tentate e ripetute, dalla coazione sessuale ripetuta alla violenza carnale, dalla coazione (tentata, ripetuta e consumata) alla minaccia.
«Non credibile» - Per la corte, la versione dell’imputato non è risultata credibile: «Troppe le contraddizioni e le versioni ritrattate». La vittima, «di cui si può ammettere un certo risentimento», al contrario è risultata convincente. «Nei casi di violenza domestica non si può pretendere che la vittima fornisca descrizioni minuziose dei soprusi e delle aggressioni».
«Considerava la moglie una cosa propria» - La procuratrice pubblica Valentina Tuoni aveva chiesto 18 anni di detenzione e 15 anni di espulsione dalla Svizzera. Secondo l’accusa, la violenza dell’uomo era stata «reiterata, sia a livello fisico sia verbale. Stupisce la brutalità verso una donna che dice di amare. Considerava la moglie cosa sua: doveva obbedire e, al contempo, subire le sue umiliazioni».
La difesa: «Mancano elementi probatori» - Per la difesa, l’avvocata Elisa Lurati aveva contestato, nel dettaglio, ogni responsabilità penalmente rilevante mossa nei confronti dell’imputato. «Il comportamento della moglie - aveva spiegato durante l’arringa - è spinto dalla gelosia per i continui tradimenti», precisando come, per quanto concerne i reati contro l’integrità fisica, «le accuse» si basassero «unilateralmente su quanto detto dalla donna. Mancano elementi probatori importanti».
L’imputato: «Non l’ho mai toccata» - Il 36enne ha negato tutte le accuse: «Ho avuto più di un’amante e me ne vergogno - aveva detto in udienza - i problemi nascono tutti da lì. Mi descrivono come un drago sputa fuoco, ma non sono così: non ho mai picchiato, seviziato o fatto violenza su mia moglie. Se le ho scritto quei messaggi, me ne vergogno. A lei vorrò per sempre bene: le uniche colpe sono averla tradita e aver proferito brutte parole nei suoi confronti».