Pamini presenta una mozione urgente e chiede le dimissioni da "senatore" per correre per il Governo ticinese
BELLINZONA - È iniziata con le scintille la sessione odierna del Gran Consiglio ticinese. Oggetto della discussione è stata la discussa incompatibilità della carica attuale di Marina Carobbio agli Stati con quella, eventuale, al Governo. Come noto, infatti, la socialista è tra i nomi più probabili per il seggio occupato ora da Manuele Bertoli.
Sulla questione il gruppo UDC ha depositato oggi due iniziative parlamentari, chiedendo per una di queste il voto d'urgenza, nelle quali in sostanza viene chiesto che per correre per il Governo ticinese, un candidato debba prima dimettersi dall'incarico di "senatore" o "senatrice", «al più tardi con effetto alla data di possibile entrata in carica quale membro dell’Esecutivo cantonale». Nella proposta, l’UDC (con primo firmatario Paolo Pamini) ha proposto nello specifico una modifica dell’articolo 47 della Legge sull’esercizio dei diritti politici secondo la quale «nell’elezione al Consiglio di Stato, il candidato Consigliere agli Stati in carica deve dimostrare di aver rassegnato le dimissioni dalla carica con effetto al più tardi entro la data della dichiarazione di fedeltà».
Secondo Pamini, ciò permetterebbe di evitare il problema del seggio vacante. Passasse la modifica, un consigliere agli Stati - in questo caso, Marina Carobbio - potrebbe in sostanza dimettersi subito restando però in carica sino ad aprile. «In teoria, nulla preclude al Consigliere agli Stati in carica di candidarsi nuovamente anche quale successore di sé stesso. Tale scelta tuttavia, oltre ad essere possibilmente mal compresa dai cittadini, potrebbe causare una vacanza qualora egli fosse eletto sia in Consiglio di Stato sia nuovamente eletto in Consiglio agli Stati e accettasse la prima carica, pertanto causando la necessità di un’elezione suppletiva del posto vacante quale Consigliere agli Stati», si legge nel testo dell'iniziativa.
Perché la discussione avesse potuto avere luogo già oggi, validandone quindi l'urgenza, avrebbero dovuto essere d'accordo i due terzi dei granconsiglieri. Si è però verificata la situazione opposta. Nonostante l'appoggio dei colleghi leghisti, la maggioranza dei votanti (il 68%) ha rimandato la questione.