Anche in "The Old Oak", che arriva al cinema oggi, Ken Loach pone uno sguardo partecipe sulle sofferenze dei più deboli
LUGANO - Ken Loach è un autore politico, nel senso più ampio del termine. L'impegno dell'uomo nelle istanze sociali non viene minimamente nascosto, ma diventa carburante dei suoi racconti. È merito dell'artista trattare queste tematiche con quella che è diventata la sua cifra peculiare: uno sguardo partecipe sulle sofferenze degli ultimi.
"The Old Oak", che esce nelle sale cinematografiche ticinesi oggi, giovedì 1° febbraio, (dopo aver vinto il Prix du Public UBS al Locarno Film Festival 2023) non fa eccezione. Il cineasta britannico si stacca dalla stretta cronaca (il film è ambientato nella Gran Bretagna del 2016) ma la storia narrata e le sue implicazioni non potrebbero essere più attuali. L'impianto del film è molto semplice: l'arrivo di un gruppo di profughi siriani crea scompiglio in un centro dell'Inghilterra settentrionale avviato verso un irreversibile declino, causato dall'abbandono dell'attività mineraria.
Il protagonista è Tj, il proprietario di un vecchio pub il cui nome dà il titolo al film. L'uomo stringe amicizia con una giovane siriana, Yara, e si fa coinvolgere nell'utilizzare la sala sul retro del locale come spazio da adibire per incontri pubblici. Un luogo rimasto chiuso da 20 anni ma che, nell'era Thatcher, era stato il cuore pulsante delle lotte dei minatori. I pranzi in comune tra operai e residenti di quell'epoca rivivono come mezzo per far conoscere e legare la popolazione autoctona e i nuovi arrivati.
"The Old Oak" non è una favoletta: il mondo di Loach non è mai perfetto. Gli amici di una vita boicottano Tj dopo che questi ha rifiutato loro la sala per organizzare un incontro di matrice xenofoba. Loach ha una posizione chiara, ma non per questo giudica: anche coloro che, mossi dall'odio, agiscono contro il protagonista lo fanno alla ricerca di un capro espiatorio, a cui dare la colpa per le cose che vanno male nella loro vita. Essi stessi, in qualche modo, sono delle vittime. Il vero nemico non viene mai mostrato. Ed è lo Stato, il governo, l'establishment. Quello nazionale che ha permesso all'economia di un'intera area d'implodere e quello, a migliaia di chilometri di distanza, che ha scatenato una guerra sanguinosa e ha costretto un intero popolo a lasciare le proprie case. I poveri e i senza speranza sono sia tra i primi che i secondi.
Il film è punteggiato di momenti poetici. Uno di questi è la serata, nel retro dell'Old Oak, durante la quale vengono mostrate le fotografie che Yara ha scattato, sia in Gran Bretagna ma anche prima, in Siria. Queste ultime immagini hanno permesso a Yara di vivere e capire una realtà altrimenti incomprensibile, come quella di un terribile conflitto, mentre quelle realizzate dopo l'arrivo nel villaggio permettono a tutti di sentirsi accomunati in un'esperienza e in valori condivisi. Ce ne sono altri decisamente drammatici, il male e il dolore non sono nascosti e in certi momenti sembrano soverchianti, impossibili da superare.
Nello sguardo di Loach, come detto, c'è sempre grande umanità ed empatia. Il messaggio è semplice e potente allo stesso tempo: immedesimandosi nell'altro lo si può comprendere, senza il bisogno di giudicarlo. Sono le sofferenze ad accomunare gli ultimi; un lutto che colpisce i profughi siriani diventa il lutto della comunità. A dimostrazione che i semi della solidarietà hanno attecchito in un terreno fertile. Le diffidenze e le ostilità iniziali sono superabili. È il grande messaggio che Loach, in quello che potrebbe essere il suo ultimo film, ci consegna.