È quanto suggerisce uno studio dell'University College di Londra, basato su oltre 7'600 campioni di virus
Secondo i ricercatori londinesi, i risultati indicano che tutte le mutazioni del nuovo coronavirus «condividono un antenato comune» alla fine del 2019.
LONDRA - Il nuovo coronavirus avrebbe fatto il salto tra animale e uomo prima di quanto ipotizzato fino ad ora. Il primo contagio umano - secondo un recente studio condotto dall’University College di Londra, che sarà pubblicato sulla rivista scientifica Infection, Genetics and Evolution - potrebbe risalire agli inizi del mese di ottobre.
Il Sars-CoV2 è stato ufficialmente identificato alla fine di dicembre in Cina. Pochi giorni fa, in Francia è stato confermato un primo caso di contagio risalente al 27 dicembre dello scorso anno, non direttamente legato alla Cina. E le lancette dell’orologio continuano a scorrere a ritroso.
Le ricostruzioni filogenetiche «stimano che la pandemia sia iniziata ad un certo punto tra il 6 di ottobre e l’11 di dicembre del 2019, che corrisponde al periodo in cui il patogeno ha fatto il salto negli esseri umani», scrivono i ricercatori londinesi, che basano i propri risultati sull’analisi di oltre 7’600 virus provenienti da pazienti di tutto il mondo.
Un «antenato comune» a fine 2019 - Il coronavirus ha subito diverse mutazioni in questi mesi. Mutazioni che sono, come di consueto, tuttora in corso. «Questa diversità genetica» rilevata in diversi paesi «indica che a livello locale ogni epidemia è stata alimentata da un ampio numero di vettori indipendenti del virus».
Nel caso del Regno Unito, il patogeno sfoggia un grado di diversità pari a quello rilevato a livello mondiale. E questo accade anche in altri paesi, suggerendo che l’accesso del virus è avvenuto tramite diversi ospiti e non da un unico paziente zero. Ne consegue che «la trasmissione globale del Covid-19 è probabilmente iniziata già nelle prime fasi della pandemia». Quindi ben prima dei casi inizialmente rilevati entro i confini cinesi.
I risultati dello studio indicano che tutte le mutazioni del nuovo coronavirus «condividono un antenato comune», situato temporalmente «alla fine del 2019». E anche questo fattore contribuisce a dare peso alla tesi degli scienziati londinesi, in quanto esclude che il virus possa aver circolato troppo a lungo sotto traccia prima di essere scoperto.