Da 40 anni il mammifero vive in uno zoo. Un'organizzazione voleva ottenere il suo trasferimento in uno spazio più grande
È la prima della specie asiatica a essersi riconosciuta in uno specchio. Ha quindi capacità di autoconsapevolezza
NEW YORK - «Non è una persona». La Corte di appello di New York ha sentenziato ieri che i diritti scritti per gli umani non possono applicarsi alla situazione di un animale e in particolare a quella di un'elefantessa rinchiusa in uno zoo da 40 anni.
L'organizzazione no-profit Nonhuman Rights Project ha portato in tribunale il caso di Happy, un'elefantessa capace di autonomia e dalla capacità cognitiva complessa. Nel 2006 uno studio effettuato all'Emory University's Yerkes National Primate Research Center ha scoperto che Happy è in grado di riconoscersi allo specchio. Di fatto, è il primo elefante asiatico in cui è stato osservato questo aspetto che conferma che è in grado di riconoscersi come individuo unico, che ha un proprio pensiero e che quindi ha capacità di autoconsapevolezza.
Non è la prima volta che Nonhumanrights Project porta davanti a una corte un caso di benessere animale. Prima di Happy e durante l'intero procedimento dell'elefantessa, l'organizzazione ha aperto e chiuso casi riguardanti anche, ad esempio, degli scimpanzé, perdendoli sempre tutti. E anche quello di Happy non è andato diversamente. Ciò che gli attivisti chiedevano era che Happy venisse trasferita in una struttura più grande e a questa richiesta avevano affiancato il principio dell'habeas corpus.
In una votazione 5 a 2, è stato deciso che Happy non potrà lasciare lo zoo del Bronx in cui si trova dal 1977. Il giudice supremo Janet DiFiore, riporta il New York Times, ha scritto nella sentenza che «pur non mettendo in discussione le capacità degli elefanti, rigettiamo gli argomenti portati dai querelanti. Habeas Corpus è un mezzo procedurale volto a garantire i diritti di libertà degli esseri umani trattenuti illegalmente, non degli animali non umani».
I due giudici che si sono invece dichiarati a favore del "rilascio" di Happy, Wilson e Rivera, hanno tuttavia scritto in separata sede che, il fatto che Happy resti rinchiusa «definisce chi siamo come società. La Corte aveva il dovere di riconoscere il diritto di Happy di chiedere la sua libertà perché è un animale selvatico che non è destinato a essere messo in gabbia e messo in mostra».
Se Happy avesse vinto la giurisprudenza in fatto di protezione degli animali sarebbe stata completamente sconvolta. Aprendo la strada a tutta una serie di possibili azioni legali a favore delle specie tenute negli zoo, ma anche di animali domestici, da fattoria e quindi da allevamento.