Ieri la notizia dell'apertura di un'indagine interna del Vaticano. Oggi le dichiarazioni del fratello: «Mi auguro di venire convocato»
ROMA - Si riaccende la speranza sul caso Emanuela Orlandi. Il Vaticano ha annunciato ieri l'apertura di un’indagine per far luce sulla scomparsa della ragazza 15enne il 22 giugno del 1983. Un mistero mai risolto e definitivamente archiviato dalla Procura di Roma nel 2015. Per la prima volta il Vaticano apre quindi un'inchiesta interna per cercare di giungere a una conclusione.
La prima inchiesta interna - Un’iniziativa legata a una serie di istanze presentate un anno fa dal fratello Pietro Orlandi. «Da tanti anni chiediamo una collaborazione per arrivare a una soluzione finale. Che vengano aperte le indagini è una cosa molto positiva. Finalmente forse ci potrà essere una collaborazione tra lo Stato italiano e il Vaticano», spiega Pietro a La Stampa. «Con ogni probabilità a sostenere la decisione del promotore di giustizia vaticano, Alessandro Diddi, di riaprire le indagini su mia sorella Emanuela è stata anche la volontà di Papa Francesco».
Un’improvvisa e inaspettata accelerata che ha lasciato molti punti interrogativi. «Mi auguro di venire convocato e di poter verbalizzare. È una cosa che chiedo da tanto tempo». Pietro aggiunge di aver appreso la notizia dai quotidiani e di non aver parlato con nessuno del Vaticano. «Sono disponibile e spero di essere ascoltato quanto prima. La verità c’è, sta da qualche parte e molte persone la conoscono».
Solidarietà internazionale - Pietro riconosce inoltre lo slancio che il documentario Netflix “Vatican Girl” ha apportato alla vicenda. «Adesso anche fuori dall’Italia conoscono la storia». Sono molti infatti i messaggi di solidarietà giunti ai familiari provenienti dall’estero.
«Forse ci si è resi conto che è un mistero che nessuno riuscirà mai a nascondere per sempre. In Vaticano ci sono persone a conoscenza di tutto. Ci sono situazioni mai volutamente approfondite. Forse per la prima volta il Vaticano ha deciso di arrivare a una soluzione».
Parla l'attentatore di Wojtyla - Nel frattempo è tornato a parlare anche Ali Agca, l’attentatore di Papa Wojtyla. Da Istanbul è stato contattato dal Corriere della Sera. «Emanuela Orlandi non fu rapita da nessuna criminalità e da nessun terrorismo. Fu al centro di un intrigo. È viva e si trova in un convento», ha spiegato l'ex esponente dei lupi grigi turchi. Agca è stato al centro della vicenda per anni a causa delle sue dichiarazioni. Affermazioni che però sono sempre risultate inesatte.