Questa volta è toccato a padre Jean-Yves Medidor, rapito in un sobborgo della capitale Port-au-Prince.
PORT-AU-PRINCE - La notizia del rapimento di padre Jean-Yves Medidor in un sobborgo di Port-au-Prince ha riacceso il dibattito sulle violenze perpetrate ad Haiti e nella sua capitale. Durante la prima settimana di marzo in scontri fra bande hanno causato la morte di 60 persone e la sparizione di altre 50.
La notizia del sequestro, opera presumibilmente del gruppo 400 Mawzoo, protagonista in passato di altri rapimenti eccellenti, è stata confermata ieri in un comunicato ufficiale dalla Congregazione dei chierici di San Viatore.
Senza un presidente in carica, senza un parlamento operante, con una Corte suprema paralizzata e con un primo ministro ad interim, Ariel Henry, Haiti è sprofondata in un clima di violenze, mentre le bande armate fanno il bello e il cattivo tempo nelle principali città haitiane.
A sottolineare questo drammatico clima, il direttore della Rete nazionale per la difesa dei diritti umani (Rnddh), Pierre Espérance, ha confermato al portale di notizie AlterPresse che gli scontri avvenuti a Port-au-Prince fra il 28 febbraio e il 4 marzo, hanno avuto un bilancio di 60 morti e 50 "desaparecidos".
«Questa nuova ondata di violenze - ha aggiunto - riguarda il gruppo G9 e un'altra banda che si scontrano per il controllo del territorio nei quartieri di Bel Air e Demas». «Principale vittima - ha concluso - è la popolazione civile. Finora, né la polizia nazionale né il governo hanno preso posizione sull'accaduto».
Per far fronte all'emergenza sicurezza il premier Henry, appoggiato dal segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, ha chiesto lo scorso anno l'intervento di una forza di pace internazionale, senza che per il momento vi sia stata una risposta concreta.