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AFRICAÈ ancora golpe, un'altra tacca sulla "cintura"

31.08.23 - 09:00
I risultati delle urne cancellati e il presidente agli arresti: il colpo di Stato in Gabon allarga la cosiddetta “coup belt” africana
Reuters
È ancora golpe, un'altra tacca sulla "cintura"
I risultati delle urne cancellati e il presidente agli arresti: il colpo di Stato in Gabon allarga la cosiddetta “coup belt” africana

LIBREVILLE - Ieri il Gabon. Un mese fa è toccato al Niger. E ripercorrendo a ritroso gli ultimi tre anni troviamo anche il Burkina Faso, la Guinea, il Sudan, il Mali (due volte, nel maggio 2021 e nell'agosto dell'anno precedente) e il Ciad. E dall'elenco escludiamo quelli solamente tentati. Se un colpo di Stato, sia per definizione che per necessità di chi lo attua, è un'azione dai tratti repentini, è difficile parlare di sorpresa quando si guarda ai paesi dell'Africa Centrale e Occidentale. E ben lo dimostra il nomignolo che parte di quella regione - comprendente il Sahel - si è guadagnato a suo malgrado di recente: la "coup belt", letteralmente la "cintura" dei golpe militari.

L'instabilità nel cuore del continente africano è figlia di un complesso intreccio di fattori. Nel dna di un colpo di Stato si ritrovano, in fondo, quasi sempre gli stessi "nucleotidi": crisi dell'economia, corruzione, inefficienza dei governi e la debolezza delle istituzioni statali. Quest'ultimo è un fattore particolarmente rilevante nello scenario che abbiamo sotto la lente, perché interconnesso a una delle grandi problematiche di sicurezza che affliggono quegli stessi paesi: la presenza crescente del terrorismo di matrice jihadista.

L'incapacità di questi governi di promuovere lo sviluppo (e non si parla solamente di quello economico) le libertà e, in generale, la pace è un comune denominatore dell'instabilità diffusa in questi paesi - molti dei quali sono delle ex colonie francesi -, a cui vanno sommate tutta una serie di singole declinazioni interne. Inoltre, per fronteggiare la piaga ultra-decennale del terrorismo, i singoli governi hanno dovuto appoggiarsi all'assistenza fornita esternamente dalla comunità internazionale, e questo ha avuto inevitabili riverberi sulle loro politiche interne.

Poca sicurezza, tante polveriere
Sul Gabon è prematuro esprimersi; la situazione si sta sviluppando in tempo reale in queste ore, dopo che un gruppo di militari ha annunciato, ieri, in diretta televisiva l'annullamento delle recenti elezioni, lo «scioglimento» delle istituzioni e messo il presidente Ali Bongo - e uno dei suoi figli - agli arresti.

Il Niger, considerato fino a un mese fa una sorta di faro nel suo percorso di sviluppo democratico nella regione sub-sahariana, è oggi crocevia di iniziative per una risoluzione politica, mentre la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS) preme con le sanzioni e non esclude l'intervento militare. E la situazione, secondo quanto si legge nell'ultimo report semestrale del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (datato allo scorso 30 giugno), rimane «precaria» sul fronte della sicurezza anche in Burkina Faso e in Mali, entrambi retti da una giunta militare.

Il caso nigerino ha poi messo in evidenza un altro fenomeno: il crescente sostegno della popolazione civile verso i regimi militari che hanno rovesciato un governo. In Niger abbiamo potuto osservare la folla riversarsi nelle strade, sventolando le bandiere. Le proprie, ma anche quelle di altri Paesi (come la Russia, ma su questo aspetto ci soffermeremo fra qualche riga). Non si tratta di impressione, ma è scientificamente dimostrato. I dati di uno studio pubblicato l'anno scorso sul South African Journal of Political Studies - a firma del ricercatore Carlos Garcìa-Rivero -, mostrano che dal 2000 a oggi il sostegno verso le giunte militari è di fatto raddoppiato. E guardando ai 38 paesi considerati nella ricerca, solo in quattro la percentuale durante il periodo si è ridotta.

E la Russia?
L'attualità impone infine di prendere in considerazione il fattore Russia; quelle bandiere di cui riferivamo prima. La Federazione ha ampliato negli ultimi anni la sua influenza sulla regione del Sahel, facendo ricorso alla sua "mano fantasma": il gruppo Wagner. I servigi della brigata hanno trovato un habitat ideale nei vuoti di sicurezza dell'Africa Centrale e Occidentale. Ma in termini di vera influenza, la propaganda supera con ogni probabilità i fatti. In un'intervista rilasciata pochi giorni fa alla rete statunitense PBS, l'ex ministra degli Esteri ed ex capo dello staff della presidenza del Mali, Kamissa Camara, ha definito come «del tutto esagerato» il modo in cui si parla di influenza russa rispetto alla realtà.

«Le bandiere russe che si possono vedere dopo un golpe, sono state piazzate lì. Non ho il minimo dubbio. Non considero la Russia come un player importante in questa regione. Credo ci sia in atto una forte propaganda da parte della Russia. Ma, da un punto di vista culturale, e anche osservando i giovani nell'Africa Occidentale... La maggior parte di loro parla francese. Studia in francese. E vogliono emigrare in Francia, o negli Stati Uniti. Non vediamo nessuno di loro mettersi in coda fuori dall'ambasciata russa».

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