Nonostante le autorità di controllo russe non abbiano rilevato contaminazioni nei campioni, la questione è sul tavolo
TOKYO - In Giappone c'è troppo pesce pescato. E con ogni probabilità resterà invenduto. Nel mese di agosto, ossia da quando il governo ha deciso in accordo con l'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea) di rilasciare le acque reflue di Fukushima, l'interesse da parte del mercato cinese nei confronti della merce nipponica ha avuto un drastico calo del 67%. A peggiorare le cose: ora anche la Russia sta considerando di districarsi dalle reti da pesca giapponesi.
Stando al JapanTimes, il Comitato russo che si occupa della sicurezza alimentare Rosselkhoznadzor ha tenuto un incontro con la controparte giapponese, dopo il quale ha affermato che la Russia non esclude la possibilità di chiudere il rubinetto dell'import dal Giappone per quanto riguarda il pescato. In una nota, Rosselkhoznadzor dà come ragione «i rischi di contaminazione da radiazioni».
Una decisione non è però ancora stata presa. Il portavoce del governo nipponico Hirokazu Matsuno ha intanto annunciato che esaminerà attentamente le considerazioni di Mosca. «Chiediamo che si agisca sulla base di prove scientifiche», aggiungendo che la Russia ha fatto parte del comitato dell'Aiea che ha dato il via libero al piano di rilascio delle acque. Rosselkhoznadzor ha da parte sua già ammesso di non aver rilevato alcuna irregolarità nei campioni testati.
Paura, ma nessuna prova - Dal 24 agosto, giorno dell'inizio delle operazioni a Fukushima, si sono moltiplicati i movimenti di protesta contro la decisione presa dal governo.
Sia a Tokyo, in Giappone, sia a Seul, in Corea del Sud, per esempio, la popolazione è scesa in strada perché i lavori venissero interrotti in quanto da un lato c'è la paura che il pescato venga contaminato dalle componenti ancora presenti nell'acqua e dall'altro il settore della pesca teme che la fiducia che si era riguadagnato negli ultimi dieci anni dopo il disastro di Fukushima venga meno.
Se la seconda si sta effettivamente realizzando, con le esportazioni verso la Cina - più grande acquirente - che nel mese di agosto sono calate del 67%; la prima non è appoggiata da nessuna prova scientifica.
Il governo giapponese ha infatti dichiarato lo scorso lunedì che non è stata trovata alcuna traccia di trizio nei campioni prelevati dalle acque in prossimità dell'ex centrale nucleare. Il trizio è l'unico elemento critico che non è stato possibile rimuovere nel lungo processo di trattamento del liquido di raffreddamento che, considerando questo aspetto, viene ulteriormente diluito in modo che la concentrazione dell'isotopo non superi i 1'500 becquerel al litro.
Nel frattempo si è anche conclusa la prima fase di rilascio dell'acqua trattata. Un totale di 7'800 tonnellate del liquido sono già state scaricate nell'oceano. Le operazioni non si concluderanno prima dei prossimi 30 anni: la quantità di liquido da riversare equivale infatti al contenuto di 500 piscine olimpioniche.