In un'intervista al sito Mother Jones, la scrittrice e giornalista investigativa Annie Jacobson affronta l'ipotesi di un conflitto nucleare.
NEW YORK - «La guerra nucleare è una sequenza di eventi» e «una volta iniziata, quasi certamente non si fermerà». La sensazione che si ha leggendo l'intervista della giornalista investigativa - e finalista del Premio Pulitzer - Annie Jacobsen al portale Mother Jones, è che il principio di deterrenza nucleare, che negli anni ha tenuto in equilibrio USA, Russia e il mondo intero, oggi, alla luce delle guerre in atto e a causa dei molteplici attori in gioco, possa essere messo in discussione.
La scrittrice invita i lettori a riflettere circa l'eventualità di un conflitto nucleare. E lo fa con il suo nuovo libro "Nuclear War. A scenario", dove, grazie a un'attività di indagine, interviste e colloqui con ex politici, generali e scienziati, immagina e descrive lo "scenario" peggiore, quello di un conflitto nucleare. Partendo da un dato, e cioè che, rispetto alle «70.481 armi nucleari» del 1986, oggi ci sono «12.500» ordigni simili. Ma a differenza del passato, ora sono nove le nazioni che ne hanno accesso (Francia, Cina, Regno Unito, Russia, USA, India, Pakistan, Corea del Nord, Israele).
«Due ore per la fine» - Una frammentazione che "regala" incertezza - per non dire di peggio -, specie se si pensa a stati "canaglia" come quello alla cui testa c'è il leader di Pyongyang Kim Jong-un, che «non annuncia alcun test missilistico, mentre gli altri paesi lo fanno». Con tanto di provocata «frenesia» nei centri di controllo satellitare americani riguardo le minacce nucleari. Un sistema di "warning" che, in caso di sopravvalutazione, sottovalutazione o non tempestività, potrebbe portare alla «fine del mondo». Ipotesi che «il generale Robert Kehler, ex comandante della Stratcom - spiega la giornalista - ha detto potrebbe verificarsi in due ore».
Tanto che l'approccio USA degli anni '50 e '60, secondo il quale un conflitto militare nucleare avrebbe potuto essere combattuto e vinto - secondo quanto riferito alla Jacobsen dall’ex segretario alla Difesa Bill Perry - oggi viene derubricato a pura follia, perché l'unico risultato possibile di uno scontro atomico sarà «il fallimento della civiltà». Dietro la cui fine potrebbe celarsi la così detta «teoria del pazzo», spiegata dal fisico ed esperto di armi nucleari Richard Garwin, spaventato dall'imprevidibilità di «un leader pazzo maniacale, egoista e narcisista», capace di tutto, persino di un attacco nucleare.
Il lancio su avvertimento - Qualcosa a cui gli USA risponderebbero sulla base del "launch on warning", un lancio su avvertimento. E cioè, dopo due livelli di conferma, al Presidente in carica verrebbe chiesto di contrattaccare, senza aspettare di aver «assorbito» il colpo. In un sistema, quello di risposta su avvertimento, definito «imperdonabilmente pericoloso», citando nel testo Paul Nitze, ex sottosegretario alla Difesa e poi consigliere presidenziale.
Un "launch on warning" che «molti presidenti avevano promesso in campagna elettorale di cambiare», salvo poi abbandonare l'idea, una volta alla Casa Bianca. Accollandosi così un peso e una responsabilità senza eguali, dato che riconoscere una minaccia nucleare può essere di fatto soggetto a un errore di valutazione: l'ipotetico missile balistico in arrivo trasporterà testate chimiche o biologiche, convenzionali o nucleari?
A questo proposito, all'interno di "Nuclear War. A scenario" si accenna all'«impreparazione del presidente» in carica nel dover decidere «entro sei minuti» dall'avvertimento nucleare, dato che un missile balistico intercontinentale può impiegare dai 20 ai 30 minuti per raggiungere gli USA, a seconda da dove si trova la rampa di lancio nemica. Considerando, inoltre, che in quanto a imperfezione, la stessa Russia, secondo la reporter e scrittrice, ha un sistema di allerta «inaffidabile».
«Decisioni che sono fuori dal controllo di tutti» - In tutto questo, «Leon Panetta - aggiunge la giornalista, riferendosi al Capo di gabinetto della Casa Bianca nell'amministrazione Clinton - ha spiegato (..) che il presidente si preoccupa principalmente di questioni interne, come la sua popolarità». E ancora, Panetta, da segretario della Difesa USA, «ha parlato di visite a silos missilistici, basi sottomarine e bunker di comando nucleare». E ha aggiunto che «una volta che vai in posti del genere, la tua intera prospettiva cambia (..). Hai davvero la sensazione che le cose siano precarie una volta iniziate e che ne seguano decisioni fuori dal controllo di tutti».
Una vulnerabilità generale, USA inclusi, che si evince dalla parte dell'intervista dedicata all'Iron Dome americano. «Gli Stati Uniti - dichiara la giornalista - fanno affidamento su 44 missili intercettori per fermare qualsiasi missile in arrivo» ma «la sola Russia ha 1.674 testate nucleari in posizione "pronte al lancio"». Annie Jacobsen si riferisce ai quarantaquattro intercettori schierati a Fort Greeley (Alaska) e all’interno della Vandenberg Air Force Base (California), in grado di riconoscere e distruggere missili balistici a lungo raggio in arrivo. Con una precisazione: «Secondo i rapporti del Congresso, gli intercettori sono efficaci solo al 50% circa». E con lo spettro di una apocalittica reazione a catena, che potrà essere allontanata solo dal ritorno al dialogo.