L'attacco che ha provocato oltre 30 morti a Sumy sarebbe frutto di «un errore». E il cessate al fuoco in Ucraina torna a essere un miraggio
SUMY - «È stata una cosa orribile», ovviamente. Ma «mi hanno detto che è stato commesso un errore». In che senso? «Chiedete a loro». E in ogni caso, «questa è la guerra di Biden. Io sto solo cercando di fermarla». Non è passato inosservato l'esercizio di "equilibrismo" sfoggiato dal presidente Donald Trump nelle scorse ore, chiamato a commentare l'attacco russo contro Sumy.
Il bilancio di quanto avvenuto ieri, lo ricordiamo, è pesante. Altri 34 morti e oltre un centinaio di feriti. Cifre che, purtroppo, si perdono nella nebbia di una guerra che miete vittime e restituisce mutilati da oltre tre anni. E che non si sa quanto andrà avanti a farlo, perché il raid sulla città di Sumy - che sia stato un errore o meno - di certo non avvicina un cessate il fuoco. Al contrario, la tregua oggi appare più distante di quanto non sembrasse ieri. E ancora di più rispetto ai, promettenti, perlomeno a parole, colloqui andati in scena in terra saudita alla fine di marzo.
Il fatto che le delegazioni presenti a Riad non si fossero alzate dal tavolo con una bozza di accordo in mano aveva già assestato un primo colpo alla promessa elettorale di Trump. Quella spacconata - che tutti ricordano e su cui aveva recentemente ritrattato - secondo cui avrebbe scritto la fine della guerra in Ucraina «in 24 ore», salvo poi rendersi conto che per farlo non bastava sguainare il pennarellone con cui è solito vergare pile di ordini esecutivi. E quello di ieri su Sumy non è stato il solo attacco a reclamare l'attenzione generale dopo un periodo scandito da schermaglie a "combustione lenta", perché poco più di una settimana fa era stata la volta di Kryvyj Rih. Un altro attacco contro i civili. E anche in quel caso, con un bilancio di una ventina di morti.
Una sequenza che non lascia intravedere, a breve termine, la possibilità di compiere quel primo step verso la pace che Trump si è impegnato a conseguire. Al contrario, anche le parole pronunciate dal Cremlino lasciano intravedere la sostanziale incompatibilità di vedute che separa Washington da Mosca. In estrema sintesi - citando le parole del portavoce Dmitry Peskov - i colloqui bilaterali proseguono «molto bene» ma probabilmente non ci saranno risultati immediati. Ergo, la pace all'orizzonte ancora non si vede.