La preoccupazione (e le bocche cucite) dei dipendenti della banca.
CREDIT SUISSE - Bocche cucite da parte del personale di Credit Suisse impiegato nelle sedi di Lugano. Questa mattina, alla richiesta di un commento sulle notizie uscite in questi giorni, la risposta dei dipendenti è stata un cortese “no comment”.
«Preferisco non esprimermi sulla situazione attuale» dice con educazione uno di loro, fuori dall’ingresso di via Gorini. Una sua collega, con un sorriso, non risponde alle domande. Stesso identico scenario fuori da via Vegetti: due dipendenti, in maniera cortese e con un gesto eloquente, rifiutano di parlare. Un gruppetto, fuori da via Luvini, si ritrova prima di andare insieme a pranzo. Dicono che non possono parlare con la stampa: si tratta di «una regola che va seguita in casi come questi». Un collega, in modo emblematico, si sente d’aggiungere: «Basta guardarmi in faccia per capire».
In effetti, fuori da piazza Riforma, una persona esce dalla sede della banca e specifica: «Non possiamo rilasciare dichiarazioni», rimandando a chi si occupa della comunicazione. «Spero capirete la situazione», aggiunge. «Certo che sono preoccupati - concludono due clienti anziani appena usciti dalla sede: - Ne abbiamo parlato con loro fino ad adesso. Un nostro consulente ci ha detto “Se pensate che ho dormito bene stanotte, vi sbagliate”».
Fra i dipendenti ticinesi, c’è chi, a denti stretti, si lascia andare: «Sono scoppiata a piangere quando hanno riferito dell’acquisizione di UBS», è la testimonianza di una lavoratrice, emblematica della preoccupazione e della tensione vissute dai lavoratori per il futuro della realtà finanziaria.
«Lavoro lì da più di 15 anni - continua la donna - ieri ho seguito con apprensione le notizie: sapevo che le cose non andavano benissimo da ormai diversi anni, ma un po’ per pigrizia e un po’ per paura di cambiare lavoro, sono rimasta per tutto questo tempo. Oggi me ne pento». Un ex dipendente, invece, è molto critico verso la gestione di Tidjane Thiam, amministratore delegato del gruppo dal 2015 al 2020: «Ho lavorato in quella banca per oltre un decennio - spiega - me ne sono andato cinque anni fa perché notavo che la gestione non era per niente chiara e lineare. Non condividevo gli investimenti e ho notato che la situazione diventava sempre più strana. A quel punto ho deciso di cambiare: oggi mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta».