Tante reazioni all’invito di restare attivi, un tema che polarizza
CUGNASCO - Il mio ultimo articolo ha polarizzato molto l’opinione pubblica ticinese e lombarda. Qualcuno ha solidarizzato con l’idea che il movimento fa bene, altri mi hanno accusato senza mezzi termini di oppormi alle direttive. Niente di più falso: personalmente credo e sostengo la distanza sociale e questo ovunque, credo però anche nell’intelligenza individuale e credo poco ai mantra nella comunicazione (che per altro rischiano di avere l’effetto contrario).
Vorrei comunque condividere due esperienze (che ne rappresentano decine). C’è per esempio Laura: «Con giornate belle come oggi, per noi e soprattutto per i bimbi (5,6,7 anni) preparare uno zaino con pick nik e partire all’avventura è fantastico... Con materiale trovato nei boschi si possono costruire archi e frecce, fare sculture di sassi, o una canna da pesca con bastone e spago e giocare al ruscello... Garantisco che le giornate passano in fretta e di qualità, i bambini sono felici e stanchi e soprattutto hanno respirato aria pulita e fatto movimento. Siamo fortunati qui in Ticino ad avere così tanti bei posti per passeggiare senza ammassarci, di fatto noi di rado incrociamo qualcuno ed ovviamente se accade si mantiene la debita distanza...».
C’è anche Marco, dottore che scrive: «Non nego che stare all’aria aperta faccia bene, così come ritengo ovvio che passare due mesi in regime di isolamento sarà dannoso per molti; tuttavia la invito a riflettere su questa domanda: Dove pensa di metterli 250’000 ticinesi all’aria aperta, contemporaneamente, rispettando le distanze minime di sicurezza? Le faccio notare che i famosi 2 metri valgono al chiuso, senza spifferi che trasportino oltre il virus; per contro all’aperto la trasmissione può avvenire a distanze ben superiori -ah, la brezza primaverile, che gioia!».
Possiamo e dobbiamo stare isolati, non c’è dubbio. Ma la comunicazione ufficiale, a mio modo di vedere, cela una grande impotenza e mancanza di visioni. Si trasferisce tutto alla responsabilità individuale e questo mi sembra poco corretto. La responsabilità pubblica, quella di prendere le misure per tempo, di imparare dalle esperienze fatte nei paesi toccati dal virus, di immaginarsi il nostro Cantone tra dodici mesi, dov’è? Da settimane continuano a varcare la frontiera persone che giungono da una regione altamente a rischio e da noi limitiamo il numero di persone con cui stare in pubblico: da mille a cento, a cinquanta, a trenta, a... cinque? Critichiamo chi va in bicicletta oppure fa una passeggiata con i figli.
Faccio davvero fatica! In un futuro non proprio lontano non potremo più uscire del tutto perché si dirà, voi cittadini non vi siete comportati come si deve. Mi sembra un po’ semplice.
Concludo citando lo scrittore Andrea Fazioli, ospite ieri de LaRegione: «Abbiamo paura, è normale. Una certa ansia è inevitabile e perfino utile. Mi chiedo tuttavia come fare perché il panico non abbi l’ultima parola? Più che limitarci a esclamare #iorestoacasa, dobbiamo forse aiutarci a dare un senso a questo limite, a questa immobilità. Non basta sognare il futuro - #andratuttobene – ma possiamo cercare forme di bellezza anche dentro le circostanze avverse».
Salutoni da #iorestoingiardino
Testo a cura di Claudio Rossetti
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