Si chiama cherofobia. Rifuggire la felicità per il timore che subito dopo possa accadere qualcosa di terrificante
BELLINZONA - Raffaele ha vent’anni. I genitori sono separati e ha una sorella più piccola. Ha sempre avuto difficoltà ad entrare nel gruppo dei pari, già da quando era alle elementari e alle medie. Era introverso, insicuro, era dubbioso su ogni cosa. Aveva difficoltà nel raggiungere i risultati cui aspirava. Infatti ogni qual volta arrivava davanti ad un esame o un esperimento, la sua mente incominciava a diventare inquieta, tesa, affacendata, confusa. I risultati erano sempre inferiori alle sue attese, anche se ha sempre superato ogni anno scolastico. Arrivato al liceo Raf riusciva ad andare molto bene nelle materie più scientifiche, quale la matematica, la fisica, ma aveva difficoltà significative nelle materie più umanistiche. Nella relazione con il mondo femminile aveva l’angoscia in quanto non si sentiva all’altezza. Progressivamente dentro di lui ha iniziato a svilupparsi il timore di essere felice.
Nel suo pensiero lentamente si innescò la convinzione che dopo un evento positivo, che avrebbe potuto renderlo felice, ne sarebbe arrivato uno triste, che lo avrebbe portato all’infelicità. Raf ha iniziato ad evitare i possibili momenti sociali belli, rinforzando il pensiero basato sul senso della sfortuna nella vita. Si è creato quindi un circolo vizioso negativo dove la credenza di non poter essere felice è diventata la cosa più significativa. Raf soffre di ciò che viene definito la cherofobia, ovvero la fobia di non poter essere felice.
«La cherofobia - ci spiega il dottor Michele Mattia, Specialista in Psichiatria e Psicoterapia - è la paura di essere felici e questo porta a sviluppare dei comportamenti e delle credenze tali per cui si evita ogni possibile atto che possa dare felicità. Chi soffre di cherofobia entra in una dimensione di isolamento, di evitamento del contatto con gli altri, non prendendo parte a incontri sociali e rinforzando, in un modo inconscio, la propria concezione di non poter essere felice».
«La persona cherofobica -spiega ancora il dottor Mattia - non esprime una sintomatologia depressiva, almeno nella prima parte dello sviluppo di questa fobia, ma è condizionata da processi di pensiero che lo portano a non assaporare la felicità, poiché dopo ogni felicità vi sarà, in un modo sicuro e certo, una profonda infelicità. Pertanto chi è cherofobico ha un atteggiamento negativo verso tutto ciò che rischia di rendere contenti e soddisfatti».
Quasi sempre alla base della cherofobia vi sono delle esperienze personali di profonda disillusione dopo una felicità intensa, che hanno attivato il circuito di evitamento di tutte le situazioni che potrebbero essere fonte di felicità. «Chi soffre di cherofobia può modificare l’approccio delle sue credenze attraverso una terapia di ristrutturazione cognitiva» conclude il dottor Michele Mattia.