Il nuovo disco solista del rapper s'intitola "Circolo Vizioso" ed è un sincero omaggio a luoghi, persone (e musica)
BELLINZONA - "Circolo Vizioso" è il nuovo album solista di Sisma, il quarto firmato da Amos Zoldan unicamente con il suo nome d'arte.
Un lavoro, anticipato dal singolo "i puntini sulle i", saldamente ancorato nel passato, sia per scelte musicali che per tematiche. È un hip-hop molto old school, che rappresenta in pieno la cifra stilistica dell'artista bellinzonese (con tanto di avviso in copertina ai "ragazzini": «No mumble rap»). Allo stesso tempo Sisma va a rievocare momenti e luoghi dell'anima, chiama accanto a sé chi lo ha affiancato negli esordi musicali (si parla di 25 anni fa, mica poco) e ricorda chi, nel frattempo, non c'è più.
Il disco si apre con la title track, che sembra una sorta di dichiarazione programmatica: cosa è stato Circolo Vizioso, e perché hai deciso che fosse ora di riproporlo?
«È il gruppo che avevo fondato con Moop e Dennis nel 1996. Ci siamo incontrati di nuovo a distanza di anni, dopo il ritorno di Moop da Parigi, abbiamo ripreso a frequentarci e a fare musica insieme. Io e lui siamo come fratelli, ascoltiamo perfino la stessa identica musica. Gli dico sempre per scherzare: "Non so se sei bravo a fare i beat o semplicemente sono quelli che piacciono a me" (ride, ndr)».
Quindi avete deciso di fare il "punto della situazione" musicale?
«Alla nostra età e in un contesto nel quale (anche pre-pandemia) mi rendevo conto che è sempre più dura fare concerti - per fare il rapper oggi devi avere i rasta gialli e rosa -, io e Moop abbiamo voluto fare un disco per quelli che ascoltano la musica che ci piace (e che ci ha cresciuto). È un album che rappresenta come siamo noi e ciò che sappiamo fare meglio».
C'è una canzone dedicata al ponte di Sementina: cosa rappresenta per te?
«È il pezzo che ho aggiunto alla fine, dopo averlo scritto durante il lockdown. Di che parla? Sono partito 20 anni fa da Sementina, il quartiere in cui sono nato e cresciuto, e mai come quest'anno ho sentito la sua mancanza. Sono stato anche dei mesi oltreoceano, in passato, ma l'impossibilità di tornarci per l'emergenza sanitaria, sapendo che lì ci sono genitori, nonni, zii e amici... Mi frullavano tanti brutti pensieri nella testa in quei giorni, come a ognuno penso, così ho voluto scavare nel profondo e fare una dichiarazione d'amore al mio quartiere e a chi lo vive».
Anche la copertina è a tema...
«Il legame con il ponte di ferro è molto forte: lo abbiamo attraversato mille volte quando andavamo a Giubiasco a fare musica con quelli più grandi. Ora quel ponte non c'è più e quei ragazzini che lo oltrepassavano hanno ormai 40 anni... Anche se gente come noi non invecchia mai (ride, ndr)».
Canti, come spesso ti succede, i sentimenti contrastanti riguardo al Ticino. Un paio di versi proprio da "Sementina Bridge": "Non scordo nulla anche se siamo lontani / i miei sentimenti per te sono rimasti uguali". Ma anche "Ho gli occhi lucidi se penso a quei posti / ma per vivere in quel quadro servivano ritocchi"...
«È un'ambivalenza che rimane e rimarrà per sempre. Amo il mio Ticino, mi ritengo fortunatissimo per esserci nato e cresciuto, ma mi basta tornarci 3-4 giorni al mese per sentirmi in gabbia. Soprattutto a livello di opportunità».
Complessivamente è più la malinconia che la rabbia a imporsi nel disco. O sbaglio?
«È corretto. La ragione è il rendersi conto che i 40 anni sono un po' il giro di boa. Ho due figlie che vanno entrambe a scuola e vedendole crescere mi accorgo di come il tempo passi e come le cose cambino. Tanto è mutato di me da quando ero ragazzino e attraversavo il ponte: il fisico, la posizione sociale, le finanze. Nonostante tutto, però, io e gli altri siamo sempre quelli che eravamo allora».
A proposito delle tue bimbe: cosa dicono di questo lavoro? E del tuo essere musicista?
«Lo hanno sentito dalla bozza fino al master. Lo ballano in salotto e lo cantano, fanno sentire agli amichetti la mia musica... sono le mie prime fan! La primogenita ha scritto sul diario che la sua popstar preferita è Sisma! (ride, ndr). Vedremo fra qualche anno come cambieranno i loro gusti musicali».
Potendo usare una sola parola per descrivere il disco, quale sceglieresti?
«Genuino. Difendo ogni rima: non ci sono pezzi messi lì solo come riempitivo».
Se non ci fosse stata la pandemia avresti fatto un disco diverso?
«In realtà no. L'album era pronto e sarebbe uscito prima, ma poi sono stato assalito da un miliardo di dubbi. Si pensava anche alla stampa del vinile da vendere ai concerti, però... Sarebbe mancata solo "Sementina Bridge". Quindi l'unica cosa positiva di questa pandemia è l'avermi spinto finalmente a fare questa dedica e aver fatto contenti gli amici, che mi hanno rinfacciato parecchie volte di non aver mai parlato del quartiere nelle mie canzoni».