Francesco Acerbi si è espresso in merito alla sua assoluzione. ««Non c'è stato nessun razzismo, il mio idolo era George Weah».
Il difensore dell'Inter: «Sono triste e dispiaciuto, in questa vicenda abbiamo perso tutti».
MILANO - Dopo la sentenza della giustizia sportiva - che l'ha assolto dalle accuse di razzismo, nei confronti di Juan Jesus - Francesco Acerbi ha rilasciato una lunga intervista al "Corriere della Sera".
Il difensore dell'Inter ha voluto raccontare come ha vissuto gli ultimi giorni, che sono stati decisamente complicati. «Sono triste e dispiaciuto, in questa vicenda abbiamo perso tutti», sono state le prime parole dell'interista. «Dopo la mia assoluzione, le persone intorno a me hanno reagito come se fossi uscito dopo dieci anni di galera. Sono state giornate molto pesanti. Perché non ho parlato prima? Avevo fiducia nella giustizia e non volevo rischiare di alimentare un polverone che era già enorme, ma ora che c’è una sentenza vorrei dire la mia, senza avere assolutamente nulla contro Juan Jesus, anzi sono molto dispiaciuto anche per lui. Non si può però dare del razzista a una persona per una parola malintesa nella concitazione del gioco e non si può continuare a farlo anche dopo che sono stato assolto. Ho percepito un grandissimo accanimento, come se avessi ammazzato qualcuno».
Dopo aver espresso il proprio punto di vista, Acerbi ha raccontato un aneddoto: «Non sono mai stato razzista e non c'è stato nessun razzismo. Il mio idolo era George Weah e fu uno dei primi a chiamarmi quando mi trovarono un tumore. Quella telefonata mi emoziona ancora oggi se ci ripenso. In questo contesto si sta solo umiliando una persona, massacrando e minacciando la sua famiglia, ma per che cosa? Il razzismo purtroppo è una cosa seria, non un presunto insulto. Se l’arbitro dovesse scrivere con carta e penna tutto quello che sente, dovrebbe correre con lo zaino. Però finisce sempre lì, altrimenti diventa tutto condannabile, anche gli insulti ai serbi, agli italiani o alle madri».
Ricordiamo che nel 2013 ad Acerbi fu diagnosticato un tumore a un testicolo e dopo essere stato operato d'urgenza, ebbe anche una recidiva qualche mese dopo. «Se mi sono mai sentito discriminato in proposito? Certo, per questo motivo ritengo che se uno sbaglia è giusto che paghi, come io ho pagato la multa quando ho mostrato il dito medio ai tifosi della Roma che mi urlavano “devi morire’. In migliaia lo gridavano a me, che sono guarito due volte da un tumore e che sono testimonial dell’Airc. La malattia che ho affrontato è stata una passeggiata in confronto a questa vicenda, non ho avuto paura a quei tempi, invece l’accanimento atroce che ho visto nei miei confronti in questi giorni mi ha ferito».
Se fosse stato condannato il 36enne avrebbe probabilmente terminato anzitempo la sua carriera da calciatore. «Avrei preso dieci giornate di squalifica, sarei passato per razzista e sarebbe potuto succedere qualunque cosa: non sarei stato soltanto finito come calciatore, che mi interessa fino a un certo punto, ma come uomo. Tutti avevano già emesso la sentenza prima ancora che uscisse e per tanti sono razzista anche adesso: sinceramente non ci sto, le gogne mediatiche non vanno bene e soprattutto non servono per risolvere un problema come quello del razzismo che sicuramente esiste. E che non intendo sminuire nemmeno un po’: voglio che sia chiaro».