Arno Rossini: «Guardiola? A Manchester chiunque altro sarebbe già stato mandato via a calci»
«Gli spogliatoio sono diventati un po' delle stazioni».
LUGANO - Il rendimento della squadra non è accettabile e i risultati latitano? La soluzione è semplice: si cambia l’allenatore. Ed ecco che, come per magia, da un giorno all’altro giocatori spenti, distratti, svogliati, tornano a combattere. A sudare le proverbiali sette camicie. Succede spessissimo così. Ovunque. In qualsiasi sport.
È per esempio successo ultimamente al Milan, dove il cambio Fonseca-Conceição ha partorito una Supercoppa e tanti sorrisi (nello spogliatoio). Potrebbe succedere a Lugano - almeno questo spera il mondo bianconero - dove il “nuovo” Uwe Krupp è chiamato a rivitalizzare velocemente un gruppo parso ultimamente svuotato.
«Negli sport di squadra è sempre così, non si scappa - è intervenuto Arno Rossini - perché le cose vadano bene devono funzionare le tre componenti societarie: dirigenza, allenatore e gruppo. Siccome i dirigenti non possono incidere immediatamente e mandare via tutti i giocatori non è possibile, per raddrizzare una situazione non buona è sempre la componente tecnica a “saltare”. Il mister, il coach, rimane solo se è fortissimo o se ha un legame saldissimo con i suoi superiori. Tipo Guardiola, per fare un esempio: a Manchester chiunque altro sarebbe stato già mandato via a calci».
A Lugano, Luca Gianinazzi ha a lungo avuto il sostegno della dirigenza.
«Le dinamiche di spogliatoio sono uguali ovunque. Gianinazzi è finito quando i bianconeri hanno ingaggiato Antti Törmänen. Quando ha deciso di affiancare il coach con un professionista esperto, la società aveva le migliori intenzioni possibili. A questo “aiuto”, ve lo posso garantire, nel gruppo hanno in ogni caso dato un significato completamente diverso. I giocatori hanno pensato: “il coach non ce la fa”. Si sta parlando di hockey, potrebbe essere qualsiasi altro sport. È sempre così».
Spesso il cambio dà la scossa all’ambiente. Eppure gli allenatori non sono maghi.
«Il discorso è purtroppo molto semplice. Per motivi diversi, a un certo punto lo spogliatoio smette di seguire il tecnico di turno. Giocatori svogliati? Si vedono ovunque. Da qui il cambio spesso è - almeno inizialmente - positivo».
Gli atleti sono svogliati di proposito, giocano quindi contro l’allenatore, o semplicemente mollano?
«Non si può generalizzare: ogni situazione è diversa. Quel che posso dire è che la poca voglia di impegnarsi è soprattutto figlia dei tanti cambi che ci sono ormai nello sport. Nei gruppi squadra non c’è più uno zoccolo duro formato da tanti giocatori che si legano a lungo al club. Le cosiddette bandiere. Quelle farebbero la differenza, perché una situazione spiacevole in una stagione può avere conseguenze anche su quella successiva. Ora invece i cambi di casacca sono frequenti, gli spogliatoi sono diventati un po’ delle stazioni. E se io giocatore so che nel giro di pochi mesi sarò da un’altra parte, pensate che mi interessi davvero il destino della mia attuale società?».