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«Sembra ieri... rimasi in lacrime»

INDIMENTICABILI«Sembra ieri... rimasi in lacrime»

13.02.24 - 07:00
Marco Pantani se n'è andato il 14 febbraio 2004: nessuno, a partire da amici ed ex colleghi come Mauro Gianetti, lo ha dimenticato
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Pantani in giallo al Tour de France del 1998.
Pantani in giallo al Tour de France del 1998.
«Sembra ieri... rimasi in lacrime»
Marco Pantani se n'è andato il 14 febbraio 2004: nessuno, a partire da amici ed ex colleghi come Mauro Gianetti, lo ha dimenticato
«Un talento eccezionale, un'intelligenza fine e delicata. Il Galibier lo consegnò alla leggenda. Poi, forse per troppo amore e venerazione, non fu possibile “imporgli” un aiuto».
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CESENATICO - Un uomo in fuga, in senso sportivo - questo sempre - e metaforico. Un prodigio venuto dal mare e diventato grande scalando le montagne. Una leggenda del ciclismo, semplicemente un Indimenticabile. Oggi più che mai, a 20 anni da quel drammatico 14 febbraio 2004, quando verso le 22 una notizia scosse il mondo dello sport. Uno di quei momenti che vincono il tempo e restano impressi nella mente. Ci si ricorda dove (e con chi) si era. La notizia si diffuse in fretta soprattutto grazie al passaparola: “È morto Pantani”. Era un sabato ed era San Valentino. A 34 anni ci lasciava in solitudine un uomo destinato ad attraversare la vita - magari alzandosi sui pedali con uno scatto dei suoi - e non a girarci attorno. Una frase, presa in prestito e adattata, da un gioiellino cinematografico come “Una canzone per Bobby Long”.

«Sono già passati 20 anni… mi sembra ieri», interviene l’ex corridore Mauro Gianetti. «Sono anch’io tra quelli che si ricorda esattamente dov’era. Mi trovavo proprio in Ticino, in macchina con la radio accesa. Sentii la notizia e ci rimasi di stucco. Malissimo. Solo pochi mesi prima ero stato in contatto col suo entourage. All’epoca ero al primo anno con la Saunier Duval (2004-2008, ndr). Si parlava dell’eventualità che Marco tornasse a gareggiare. Non tanto per “rilanciarsi” e vincere ancora, ma per uscire da una situazione che si stava via via complicando. Poi non fu possibile. Decise di non correre, ma un contatto c’era stato. Rimasi in lacrime».

Marco Pantani, nato a Cesena il 13 gennaio 1970, era un predestinato. Uno scalatore puro, forte anche in discesa. Nel 1994 la vera esplosione come professionista con la Carrera Jeans, con la prima vittoria di tappa al Giro d’Italia, poi chiuso al secondo posto davanti a Indurain. Pochi mesi dopo finì terzo (con tanto di maglia bianca) sui Campi Elisi.

ImagoPantani sorridente coi suoi compagni ai tempi della Carrera.

A Gianni Mura, in una celebre intervista, “confessò” che «andava così forte in salita per abbreviare la sua agonia». Ma com'era correrci contro? «Ho una visione un po’ romantica e non direi proprio così - riprende nel suo ricordo Mauro Gianetti, classe 1964 - Abbiamo condiviso freddo e fatica, anche se non siamo mai stati nello stesso team. Eravamo "contro", ma amo dire che si corre insieme e poi vince il più forte. E Pantani lo era… Parliamo di un ragazzo con un talento eccezionale, fuori dal normale. Qualcosa che va al di là. Poi aveva una personalità molto fine, che faceva innamorare il pubblico, la massa. Ha messo d’accordo tutti come in un partito unico. Aveva un’intelligenza che definisco delicata e raffinata. Per tutti questi fattori è diventato un’icona, un personaggio straordinario. Prima era Marco, poi è “nato” il Pirata con la sua bandana. Capelli rasati e orecchino (look proposto per la prima volta al Tour de Suisse 1995, ndr). Era l’uomo venuto dalla riviera romagnola - mamma Tonina vendeva piadine sul lungomare di Cesenatico - e rivelatosi indomabile sulle montagne».

Proprio così. È in che salita ha scritto la storia e stracciato record (come per i tempi di ascesa sul Mont Ventoux e l’Alpe d’Huez). Dopo il boom, le prime imprese e il ritorno da due gravi infortuni, nel 1998 l’epica doppietta Giro d'Italia-Tour de France con la Mercatone Uno. Lì Pantani entrò nella leggenda. Osannato da tutti, apparentemente imbattibile e indistruttibile. Poi il disastro. E qui la mente va a Madonna di Campiglio, alla mattina del 5 giugno del 1999. Ematocrito del 52%, contro il 50% del limite massimo consentito: il Pirata, dominatore assoluto di un Giro che di fatto aveva già vinto, venne escluso. Uno shock. «Mi sono rialzato dopo tanti gravi infortuni e sono sempre tornato a correre - disse l’atleta - Questa volta, però, abbiamo toccato il fondo. In questo momento vorrei solamente un po' di rispetto. Rialzarsi sarà molto difficile». Parole profetiche. Pantani, per tanti, morì quel giorno.

«In quel momento Marco era qualcosa di talmente grande che poi diventa difficile gestire il peso del personaggio - racconta Gianetti - Le pretese erano diventate insopportabili. Sei sulla bocca di tutti. E tutti pretendono qualcosa da te. Ma non è così. Non è stato capace di mettere delle barriere per difendersi».

Poi è tornato, ha vinto ancora, ma non è più stato lo stesso. «Alla fine non ha voluto che gli altri lo aiutassero a gestire quel macigno. Non è facile. Forse, per troppo amore e venerazione, non è stato neanche possibile “imporgli” un aiuto. Il Pirata ha preso il sopravvento. Resta però un’icona, qualcuno che è andato oltre. È andato al di là del ciclismo. Ha fatto emozionare e innamorare anche chi prima non seguiva le gare. Per la sua intelligenza, personalità e finezza».

ImagoDopo Madonna di Campiglio il Pirata è tornato e ha vinto ancora, ma non è più stato lo stesso. Qui nell'indimenticabile lotta con Armstrong sul Mont Ventoux (15.7.2000).

«Nei grandi Giri si è consacrato. Ricordo che la gente accorreva a prescindere per ammirare il Pirata e le sue invenzioni, i suoi scatti (“Sono in maglia gialla, ma la folla urla il nome di Pantani”, dirà Lance Armstrong nel 2001, ndr). Una volta ricordo che al Tour non stava tanto bene, al via si parlava di qualche linea di febbre. Quel giorno finì con Marco in trionfo all'Alpe d’Huez… In cima alle sue imprese metto però il Galibier. Era il 27 luglio 1998: diluvio universale e arrivo a Les Deux Alpes. Quel giorno sfidò il freddo, la pioggia e il Kaiser tedesco Jan Ullrich, surclassato e staccato di quasi 9’. Pantani, “minuto”, attaccò a 50km dall’arrivo in un giorno infernale e andò a prendersi il Tour de France. Il resto è storia».

ImagoIn giallo al Tour de France 1998. L'anno della storica doppietta.

Una storia che non ha purtroppo un lieto fine. Quello del Galibier, per sua stessa ammissione, è stato giorno più bello della sua carriera. Un percorso di vita condito da successi (46 in totale), ma anche tante cadute, rabbia, sfortuna e momenti bui. Segnato infine da depressione e dipendenze (cocaina), Pantani se n'è andato 20 anni or sono. Sulla morte al Residence “Le Rose” di Rimini, come per Madonna di Campiglio, ci sono state indagini, inchieste e dibattiti. Ma oggi non siamo qui per questo. Siamo qui per un omaggio al campione che ha sfidato il tempo. In quegli anni si era passati dal rumore incessante della folla - festante ed esaltata dalle sue gesta - ai silenzi imbarazzati dopo la sua scomparsa.

Oggi invece ci sono sempre più statue, musei e piazze a suo nome. Il Pirata viene ricordato giustamente per quello che era: «Uno straordinario talento. Qualcosa di diverso che ha lasciato un segno indelebile. Proprio per questo ne parliamo ancora con affetto dopo 20 anni», conclude sorridente e commosso Mauro Gianetti.

ImagoCesenatico, una statua in onore del suo Pirata.

 

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