Secondo il politologo Swen Hutter, è questo il motivo per cui si scende in piazza a protestare
«Soliti a votare e partecipare al processo politico, i cittadini elvetici sono più restii ad accettare decisioni dall'alto»
BERNA - I cittadini svizzeri, generalmente, non sono noti per scendere in piazza a manifestare. Ciò non significa che non protestino, ma lo fanno in misura minore rispetto a paesi come la Francia, o la Spagna, dove si scende in piazza più frequentemente e anche in modo più radicale.
Tuttavia, nell'ambito delle misure anti-coronavirus, i movimenti di protesta in Svizzera si sono moltiplicati (un corteo è in corso anche ora, ad Aarau).
Una spiegazione in tal senso ha provato a darla il noto ricercatore e politologo Swen Hutter: «La motivazione principale? È che in questo caso il popolo svizzero è stato lasciato fuori dalla decisione sulle misure anti-coronavirus».
In un'intervista al portale elvetico 20 Minuten, Hutter ha infatti spiegato che «queste restrizioni della libertà e della democrazia sono rimbombate fortemente in Svizzera a causa della cultura politica del paese: rispetto al solito, lo Stato è infatti intervenuto fortemente e dall'alto per affrontare il coronavirus, mentre gli svizzeri sono abituati ad essere coinvolti nella maggior parte delle decisioni politiche». Si tratta insomma «di uno shock sistemico» che altri paesi europei non hanno dovuto subire in tal misura.
È anche ciò che può dare una spiegazione, secondo l'esperto, al paradosso che ha avuto luogo negli ultimi mesi: «dove le restrizioni pandemiche sono state meno severe, si sono viste anche mobilitazioni più forti».
A tal riguardo, anche il modo in cui le autorità di polizia hanno gestito le manifestazioni è stato diverso nel nostro paese, rispetto ad altri: «gli agenti tendono ad operare in modo meno repressivo in Svizzera, e c'è una certa tolleranza verso la libertà di espressione». D'altra parte, tra i manifestanti, c'è una certa disobbedienza civile che è sinonimo di novità: «Normalmente, coloro che protestano si attengono alle richieste delle autorità, in questo caso non è sempre stato così: ecco perché le forze dell'ordine hanno avuto diverse difficoltà: è qualcosa di nuovo e sconosciuto per la polizia - in alcune parti del paese - dover reagire sul posto a grandi manifestazioni illegali», ha specificato Hutter.
Un'altra novità per gli standard elvetici è l'eterogeneità dei manifestanti: «solitamente in Svizzera - nella stragrande maggioranza dei casi - sono persone appartenenti a movimenti di sinistra a protestare. In questi cortei contro le misure anti-Covid, invece, la composizione sociale dei manifestanti è relativamente eterogenea (anche se si nota una frangia di estrema destra). Non ci sono solo giovani, universitari, o membri di un partito, ma sono un gruppo più ampio, che è unito da una forte sfiducia verso il Governo».
C'entrano anche le tanto diffuse teorie del complotto? Secondo Hutter, giocano sicuramente un ruolo: «All'interno di questi movimenti di protesta, in generale, ci sono molte persone riunite da determinate teorie del complotto, anche molto diverse tra loro, che possono agire come un acceleratore verso un certo tipo di radicalizzazione» ha affermato l'esperto.
Infine, per quanto riguarda gli effetti che tutto questo avrà sul sistema politico elvetico... «Si tratta di persone diffidenti che non si sentono più rappresentate o in controllo del sistema politico. Questa sfiducia potrebbe portare, anche dopo la pandemia, ad un calo ulteriore dell'affluenza alle urne». È quindi importante per i politici cercare di imparare dagli eventi: «Sarebbe utile un dibattito sulla questione delle misure: quali siano state effettivamente appropriate e in quali momenti».