Dieci anni, quindicimila franchi e delle scarpe da disinfettare: ecco l'impresa di Beatrice
ZURIGO - «Pensavo di fermarmi. Stavo male, ero stanca, c’era un vento pazzesco e già correvo da ore. “Chi me lo fa fare?” mi sono detta».
Sono questi i pensieri che si susseguivano nella mente della zurighese Beatrice Lessi, mentre tentava un’impresa compiuta da poche persone al mondo: correre una maratona in Antartide, al freddo (circa -15°) e con venti sferzanti che toccavano gli 80km/h.
«Poi ho pensato che come nella vita, anche in una maratona si deve andare avanti un passo alla volta, senza guardare troppo in avanti, l’orologio o i chilometri. E solo così sono arrivata fino alla fine» racconta a Tio/20 Minuti, parlandoci di un’esperienza «mozzafiato».
Ma cosa spinge qualcuno ad andare dalla Svizzera fino in Antartide per correre una maratona? «Tanti lo fanno per ottenere la medaglia del Club dei Sette Continenti*. Io invece avevo questo sogno dopo aver fatto la “marathon des Sables” (nel deserto del Sahara). Volevo infatti riuscire nell’impresa “opposta”, quella di correre una maratona in uno dei posti più freddi al mondo».
Con dieci anni di preparazione, e dopo aver affrontato il Sahara e anche l’Everest, Beatrice ha quindi deciso di sfidare l’Antartide. E ci è riuscita, arrivando con il marito in circa 6 ore e mezzo, poco prima del tempo limite. «È stata durissima», ammette. «Alcuni si sono fermati a metà, accettando di aver concluso la mezza maratona». Ma quale è stata l'insidia principale? «Il vento fortissimo che ti portava via. Ho avuto sete per tre giorni per quanto mi ha disidratata».
«I pinguini ci guardavano»
Com'è l'Antartide? «Non è stato per niente come me lo aspettavo» continua Beatrice. «Mi immaginavo di correre tra gli iceberg, invece non si può toccare nulla. Prima di poter scendere dalla nave con cui si arriva in loco si viene controllati e registrati, lo staff passa persino l’aspirapolvere nelle tasche e sui vestiti, e bisogna mettere le scarpe - dopo averle spolverate - dentro un liquido con una soluzione disinfettante. Perché questo ambiente è incontaminato e non va rovinato».
Il paesaggio, però, è mozzafiato. «La natura è sicuramente tra le cose che mi hanno colpita maggiormente. Mi aspettavo una sorta di deserto secco e ventoso, invece pullulava di vita, c’erano decine di pinguini che ci guardavano, curiosi. Ma anche orche, foche, uccelli. Qualcosa di pazzesco. Mi hanno colpita anche i colori del ghiaccio, così diversi tra loro: dal grigio al blu, al giallino».
Una bella batosta sono però i costi. «La preparazione è stata di dieci anni anche per motivi economici: abbiamo dovuto mettere da parte 15mila franchi a testa. C’è poi anche da considerare che c’è una lista d’attesa di qualche anno, dato che possono partecipare massimo 100 persone alla volta per motivi ambientali (80 partecipanti e 20 persone dello staff)».
Le domande a ChatGPT e gli allenamenti in Ticino
Ma come ci si prepara per una corsa del genere? «C’è molto poco su internet. Ho provato a chiedere anche a ChatGPT, ma non ne sapeva niente. Alla fine ci hanno dato dei briefing gli organizzatori*. Praticamente è come fare una maratona da noi». La chiave sta nella preparazione sia fisica che mentale. Quale lato è più importante? «Più è lunga la maratona più è importante il lato mentale. Una mia amica che ha fatto molte maratone con me dice sempre “il 90% è mentale, il 10% restante anche”».
Beatrice ha usato Ticino e Grigioni come base di allenamento. «Ho fatto una prova ad Arosa, a gennaio. Le temperature sono simili (attorno a -16°), poiché è estate quando si va in Antartide, non è -50° come in inverno». Qualche altra corsa l'ha fatta a Cabbio, nel Mendrisiotto, dove la meteo era però più mite. «Per allenare il freddo ho fatto anche delle crio saune (a meno 110 gradi), ho fatto docce fredde tutti i giorni e quando nevicava andavo fuori in bikini per qualche minuto, beccandomi anche un raffreddore (ride, ndr.)». Il vestiario è un'altra questione importante. «Praticamente ci si veste come per andare a sciare, a strati, con scarpe buone per neve e fango e impermeabili».
Dal Sahara all'Everest
Quella in Antartide, come anche quella nel deserto del Sahara o sull'Everest sono una serie di gare tanto impegnative quanto pericolose. «Sono maratone difficilissime. Gli organizzatori ti fanno arrivare fino al limite» spiega Beatrice. È inoltre già capitato che qualcuno vi perdesse la vita. «Sì, ma in buona parte si tratta di casi dove le persone non rispettano le regole e le istruzioni fornite dagli organizzatori».
Beatrice ha iniziato a correre a quarant'anni, vedendo dei colleghi fare la maratona di Londra. «Li ho visti e ho detto: “Dai, l'anno prossimo corro anch'io”. Loro non mi hanno creduto (forse perché avevo tacchi e minigonna), ma invece l'ho fatto e li ho anche battuti». Ma perché una sfida così estrema come quella del Sahara? «Perché un dottore a Zurigo mi ha trovato un’artrosi e mi ha detto di smettere (ho letto nel suo sguardo “ma che vuole fare questa...”).
Mi ha fatto arrabbiare tanto che sono andata a casa e ho messo il mio nome su una 100 km. Fatta quella, ho letto che Discovery Channel aveva definito la “Marathon des Sables” la corsa più difficile del mondo, e pensando che magari per via dell’artrosi sarei durata poco, volevo assolutamente sapere cosa volesse dire correrla».
Ora, lo sguardo di Beatrice è rivolto al futuro. «Mi sono rimaste due cose che potrei fare. La prima è ottenere la medaglia del Club dei 7 Continenti. Anche perché ho scoperto che solo 314 donne al mondo hanno raggiunto questo traguardo. Mi mancano l’Oceania e il Sudamerica. Inoltre, un altro desiderio è fare quella di Berlino, che mi permetterebbe di aver fatto tutte le ”majors”, le principali maratone al mondo».
*Il Club ufficiale dei Sette Continenti è stato fondato nel 1995 quando Marathon Tours & Travel ha creato l'Antartide Marathon & Half-Marathon inaugurale e ha permesso ai corridori di conquistare una maratona o una mezza maratona in sette continenti diversi.