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ARGOVIACi sono limiti invalicabili pur di alleviare il dolore di un figlio?

06.10.23 - 10:19
Etici e giuristi si interrogano sui genitori che hanno ucciso la loro bimba gravemente malata
Depositphotos
Ci sono limiti invalicabili pur di alleviare il dolore di un figlio?
Etici e giuristi si interrogano sui genitori che hanno ucciso la loro bimba gravemente malata

AARAU - Vedere soffrire un proprio caro e non poter fare assolutamente nulla, è sicuramente questa una delle più atroci e dolorose realtà che si possono vivere. O anche solo immaginare. Se poi a patire, giorno dopo giorno, senza che si possa intervenire, è un figlio, allora il confine tra ciò che è moralmente accettabile, per aiutare chi sta soffrendo, diventa sempre più labile. 

Chi infatti non si è domandato che cosa avrebbe fatto se si fosse trovato catapultato nell’incubo dei due genitori di Argovia che hanno deciso di uccidere la loro bimba di tre anni affetta da una paralisi cerebrale incurabile? Quanti di noi, dopo aver letto il racconto di questa bimba incapace di deglutire da sola, colpita da convulsioni e dolori e impossibilitata in ogni movimento non ha dato ragione sottovoce - se di ragione si può parlare in questo caso - a una mamma e a un papà che, dilaniati dallo strazio, hanno dichiarato alla polizia di averlo fatto per “liberare nostra figlia dal dolore»?

Interrogativi inimmaginabili ai quali ognuno di noi, nel proprio intimo, ha forse cercato di dare una risposta, basandosi, essenzialmente sulle proprie emozioni e sul proprio credo.

C’è invece chi, e si tratta di etici e giuristi, ha cercato di interpretare e analizzare quanto accaduto. 

Il primo a parlare - come riportato da 20 Minuten - è Thomas Gröbly, ex docente di etica. «La dignità di ogni essere umano è inviolabile, indipendentemente dal suo stato di salute. Non esiste una vita non dignitosa, anche la più grande sofferenza non può intaccare la dignità. I genitori ritenevano che il loro bambino non volesse vivere in queste condizioni».

Più categorico invece Ruth Baumann-Hölzle, Fondazione Dialog Ethik. «Ci sono molte persone con paralisi cerebrale che conducono una vita soddisfacente. Il più delle volte sono anche in grado di giudicare. Decidere un destino diverso uccidendo qualcuno è eutanasia attiva ed è vietata in Svizzera. Pertanto è comprensibile che i genitori siano accusati di omicidio attivo. Quando mettiamo in discussione il diritto alla vita delle persone con disabilità, la questione diventa spinosa. Il divieto di uccidere esiste anche per proteggere queste persone».

Dunque viene da chiedersi se il comportamento dei genitori sia riprovevole o umano. «Molte cose sono umane. Gli esseri umani sono capaci sia di amare che di odiare. Fino a che punto si tratti di un atto riprovevole è qualcosa che ognuno deve giudicare da sé. I concetti morali differiscono quando si tratta di tali questioni. Forse si può comprendere l'azione dei genitori come un atto di disperazione, ma la società non dovrebbe accettare una simile uccisione», aggiunge Baumann-Hölzle. Fondamentale è che «quando vediamo che le persone sono così gravemente angosciate, allora hanno bisogno di aiuto dall'esterno», dice Baumann-Hölzle. 

L'accusa chiede 18 anni di reclusione e 15 anni di espulsione sia per la madre che per il padre del bambino. «Questo è sproporzionato - dice l'avvocato Matthias Michlig - Il movente deve essere preso in considerazione». Sempre sul fronte legale interviene anche l’avvocato Claudia Zumtaugwald. «Dal punto di vista umano e del diritto penale, non si può ignorare la sofferenza dei genitori in una situazione del genere. Dal loro punto di vista, hanno fatto qualcosa di buono per la loro bambina, anche se noi non possiamo capirlo».

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