Il presidente di GastroTicino ritiene che siano sempre i «soliti settori» a pagare il conto.
Per Suter non c'è nessuna prova scientifica che giustifichi questa decisione. «I piani di protezione hanno sempre funzionato bene. Perché non dare libertà di scelta sulla richiesta del certificato ai singoli imprenditori?»
BELLINZONA - Il dado è tratto. Il Consiglio federale ha deciso oggi di estendere l'obbligo di certificato per tutti i luoghi chiusi. Da lunedì prossimo per entrare in bar, ristoranti, teatri, musei, cinema e palestre bisognerà quindi esibire la prova dell'avvenuta vaccinazione o guarigione dalla malattia, o con un test negativo effettuato nelle ultime 72 ore.
«Limitazione della libertà» - Una scelta - benché ampiamente prevista - che non è andata giù al presidente di GastroTicino Massimo Suter che vede il proprio settore ulteriormente penalizzato. «A Berna stanno percorrendo la via della limitazione della libertà personale per obbligare le persone a passare dal vaccino», ci dice abbacchiato al telefono. E a pagare il conto di "questa sorta di ricatto" sono sempre i medesimi settori economici, tra cui quello della gastronomia. «Non esiste nessuna prova scientifica che la ristorazione sia un luogo di contagio. Nulla che giustifichi tutte queste misure restrittive che abbiamo dovuto subire negli ultimi due anni».
Libera scelta - Per Suter altre soluzioni erano possibili. «Negli scorsi mesi, con i suoi piani di protezione, il settore ha dimostrato di saper contenere o addirittura ridurre la diffusione del virus». Per il presidente di GastroTicino si poteva andare avanti in quella direzione, oppure lasciare libera scelta al singolo imprenditore. «Chi avesse deciso di richiedere effettivamente il certificato Covid-19 - sottolinea Suter - avrebbe potuto togliere tutte le limitazioni, mentre coloro che non volessero imporre il certificato, avrebbero continuato a esercitare seguendo i piani di protezione».
Disastro economico - Molti ristoranti, poi, rischiano di subire un'ulteriore mazzata per quel che concerne i guadagni. «Non dimentichiamo - ricorda il presidente di GastroTicino - che il 45% della popolazione non è vaccinato. Quindi in teoria non potrà andare al ristorante, almeno che non vada prima a farsi tamponare».
Spaccatura sociale - Si rischia poi di creare una sorta di spaccatura sociale, non solo tra i clienti, ma anche tra i dipendenti dei locali. «Il personale non ha l'obbligo della vaccinazione, quindi se qualcuno all'interno di esso non è vaccinato, tutti dovranno lavorare con la mascherina. Solo con tutto il personale vaccinato cadrebbe l'obbligo d'indossarla». In pratica un solo non vaccinato obbligherebbe il resto dei dipendenti a "mascherarsi". «E questo - conclude l'anche vice-presidente di GastroSuisse - potrebbe creare delle tensioni interne e delle antipatie inutili nel gruppo».