Boom di società di chirurgia estetica. Spesso vengono dall'Italia. Lo sfogo dell'esperto Yves Harder.
«Il Ticino come altri Cantoni di frontiera è una giungla. Secondo il registro ufficiale, su suolo ticinese lavorano 53 specialisti con titolo riconosciuto, di cui solo 9 legati alla nostra società. E gli altri?»
LUGANO - «Quello della chirurgia estetica è un mondo che nasconde una montagna di problemi. Soprattutto in cantoni di frontiera come il Ticino». Yves Harder è primario e direttore medico presso il Servizio multisito di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica dell'EOC e presidente della Società ticinese di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. Tio/20Minuti lo interpella dopo la bufera sollevata dal programma italiano "Le iene" su una ditta attiva in Ticino e nel Moesano che fornisce intermediazione per chi vuole sottoporsi a un ritocco estetico. L'azienda è stata attaccata per un intervento andato storto a Milano. La titolare, da noi interpellata, aveva parlato di "episodi rari". Mai accaduti su suolo elvetico.
Dopo l'articolo di Tio/20Minuti si sono fatte vive altre persone a cui è andata storta un'operazione. E le loro storie riguardavano aziende simili a quella attaccata dalle "Iene".
«Purtroppo il Ticino è una giungla per il settore della chirurgia estetica. Su suolo ticinese lavorano al momento 53 specialisti con titolo riconosciuto, di cui solo 9 legati alla nostra società. Significa che gli altri 44 arrivano da fuori. Tra questi esperti ci saranno sicuramente anche persone competenti. Il problema concerne quei colleghi che lavorano in Ticino per reclutare pazienti da portare via, o per offrire occasionalmente interventi in strutture affittate e non sempre adeguate. Per poi “sparire” subito dopo».
Una giovane paziente del Luganese ha recentemente denunciato per lesioni colpose un medico italiano per un intervento al seno andato molto male.
«I rischi ci sono. È risaputo. Quello che è fondamentale è che il cliente venga informato su queste possibilità in maniera esplicita, onesta. Ho il dubbio che le società di intermediazione non curino abbastanza questo aspetto».
Nel nome di queste ditte compare spesso la parola "Svizzera". Non le sembra strano?
«Funge da presunto label di qualità. Ma poi ti operano in una sala presa a noleggio in strutture non consone o addirittura ti portano a Milano. Offrendo costi nettamente minori rispetto alla media ticinese. Un prezzo basso potrebbe significare qualità inferiore o meno controlli».
Da specialista, qual è l'aspetto che più la irrita?
«Il fatto che le spiegazioni fondamentali di base sembrano essere date da persone che non hanno le competenza specifiche per quanto riguarda l’intervento. Intermediari che poi ricorrono a un medico. Sulla salute non si scherza. I colloqui vanno fatti con gli specialisti che operano il “cliente”. Perché poi c'è un potenziale problema di salute pubblica. Una persona va a fare un ritocco estetico e ovviamente se lo paga di tasca sua. Ma in Svizzera, se le cose vanno male, poi a dovere subentrare è la cassa malati. Ci sono sempre più casi che vanno a finire così».
Chi sono i clienti della chirurgia estetica?
«Soprattutto giovani donne. Con la pandemia le richieste di ritocchi sono aumentate in maniera esponenziale. Alcune strutture hanno avuto richieste in più del 10%. Altre di oltre il 50%. Forse perché si è stati tanto chiusi in casa. Ci si vedeva via webcam e si facevano confronti con gli interlocutori. Anche la mascherina ha avuto un ruolo. Perché evidenziava la parte attorno all'occhio. Al momento, tanti interventi sono in quella zona. Va anche detto che il mondo dei social spinge tantissimo verso la “perfezione”. C'è anche chi ha approfittato del lavoro da casa per fare una convalescenza post intervento».
Giovani donne ha detto. Che magari non hanno grandi possibilità economiche...
«Esatto. E quindi sono ingolosite da queste società che promettono grandi cose. A volte si risparmia tra il 30 e il 50% e anche di più. Mi chiedo come si possa dire a una cliente che il medico a cui sarà affidata ha una percentuale di soddisfazione del 99,6%. Nessuno in questo campo può vantare una simile percentuale. È irrealistico. Significa vendere fumo».