La reazione di Lilia Cereda Nodari dell'ASI all'allarme degli Spitex di un settore delle cure a domicilio ticinese «fuori controllo»
LUGANO - Un settore, quello delle cure infermieristiche a domicilio fuori controllo e in balìa di un “mercato selvaggio”, con costi (e fatturazioni) eccessive che finiscono per pesare anche sulle casse cantonali.
È questo il quadro dipinto in una recente conferenza stampa degli Spitex pubblici ticinesi, riuniti nella Conferenza dei presidenti dei servizi di assistenza e cura a domicilio di interesse pubblico ticinese.
Non ci sta però la Lilia Cereda Nodari, infermiera indipendente e responsabile dello sportello infermieri indipendenti presso l'Associazione Svizzera degli Infermieri (ASI) in Ticino: «se devo essere sincera, tutta questa bellicosità (da parte della Conferenza, ndr.) mi ha ferita un po', ho sempre svolto il mio lavoro in maniera corretta e tutto questo accanirsi mi ha fatto un po' male».
E non son solo i toni ad averla indisposta: «anche i dati, che sono sbagliati. Parlano di indipendenti che guadagnano anche 10mila franchi al mese ma, mi permetta, se ne esistessero davvero sarebbero da denuncia. Le possibilità sono diverse: o questa ipotetica persona lavora troppo, oppure non calcola bene le ore che fa, non fa il lavoro amministrativo, le vacanze, i giorni liberi e i giorni di formazione che dovrebbe fare in un anno... Questa cosa che dicono loro, non mi convince proprio».
Fra le altre criticità citate dalla Conferenza, c'è il numero davvero elevato di infermieri attivi in Ticino. Il nostro territorio, va detto, ha diverse peculiarità geografiche e demografiche che lo rendono una sorta di unicum in Svizzera per quanto riguarda la sanità: «È vero, ma le proporzioni che citano loro non sono in linea con i dati ufficiali che abbiamo noi dell'ASI. Parlano di più di 500 infermieri attivi in Ticino sui 1'420 in Svizzera, quando - ho qui le cifre fra le mani - in realtà in tutta la Convederazione sono più 2'800».
Parlando poi degli infermieri che decidono di lasciare il settore pubblico per diventare indipendenti...
«Anche io dopo tanti anni nel pubblico ho deciso di diventare indipendente, i motivi sono tanti, ma quelli più importanti riguardano la gestione del proprio tempo e la possibilità di avere dei fine settimana liberi (e non da 14 ore di lavoro) e gestire meglio vita professionale e vita privata. Se sono così tanti quelli che decidono di intraprendere questo percorso, allora qualche domanda dovrebbero farsela loro».
Ma c'è davvero chi “ruba” i pazienti che aveva quando inizia a lavorare in proprio?
«Diciamo che usando questa terminologia si sminuisce un po' il rapporto che si instaura negli anni fra chi cura e il paziente. A volte quella fiducia che si crea è un qualcosa di importante e unico, per entrambi. Può quindi capitare che il paziente finisca per cercare un infermiere o un'infermiera con cui si è trovato/a bene, a me personalmente è capitato. Va detto che molti Spitex fanno firmare dei documenti perché questa cosa non succeda, con dei periodi “franchi” di diversi anni. Nel mio caso, alcuni miei ex-pazienti hanno aspettato e poi si sono fatti avanti».
Quindi, stando a quello che dice lei, non è proprio un ”Far West”...
«Che piaccia o meno, è il libero mercato. Poi le tariffe sono le medesime, che si scelga uno Spitex o un indipendente. Quello che potrebbe cambiare, se si vuole davvero approfondire, sono le fatturazioni. Uno Spitex, per esempio, il viaggio per portare a far analizzare un campione di sangue dal medico, lo fatturerà sempre. Io non lo faccio mai, e non sono l'unica. Lo stesso vale per l'acquisto di medicamenti in farmacia, e altre cose piccole. Queste cose il cliente spesso non le sa perché le fatture vengono inoltrate alla cassa malati che le copre».
Ma di indipendenti "furbetti" che magari gonfiano le fatture, non ce ne sono davvero?
«Io parlo per l'ASI, noi abbiamo uno standard elevato e regolamentato, nel segno della qualità e dell'affidabilità. Per quanto riguarda gli altri, immagino che qualcuno che “arrotondi“ verso l'alto ci possa anche essere ma le cose gravi, tipo fatturare 100 ore per delle medicazioni di una piccola ferita, saltano fuori. Di solito ad accorgersene è proprio la cassa malati che in genere controlla quando vede numeri eccessivi, richiede i documenti, sente il medico e i nodi poi vengono al pettine».
Secondo lei, c'è qualcosa che si potrebbe migliorare?
«Sì, senz'altro. Se davvero questi “infermieri con la Porsche” esistono davvero, se davvero ci sono degli illeciti e degli abusi, dovrebbe esserci un canale - un numero da chiamare - per segnalarli alle autorità competenti. Altrimenti, ahimé, si rischia di restare nell'ambito delle voci e delle chiacchiere da bar. Al momento però non so se il Cantone abbia a disposizione i mezzi per sobbarcarsi anche questo onere».