Dopo il primo contatto con la realtà della professione, il 34% dei futuri medici pensa di abbandonare la carriera.
LUGANO - «Il mio più grande desiderio è quello di diventare un medico e aiutare le persone. Ma in queste condizioni di lavoro diventa sempre più difficile». Parole cariche di amarezza quelle di Valeria Scheiwiller, presidentessa di Swimsa (l’associazione svizzera degli studenti di medicina), all’ultimo anno di specializzazione all’Usi di Lugano. Una considerazione amara che è figlia dei risultati di un sondaggio, condotto tra gli studenti, che ha evidenziato come ben il 34% degli intervistati (il campione è di 2300 studenti), stia seriamente pensando di abbandonare gli studi dopo aver avuto le prime esperienze professionali in ospedale.
«Il numero eccessivo di ore lavorate ogni settimana, le condizioni precarie e l’eccessiva burocrazia hanno fatto detonare questa crisi. E se il dato in Ticino è inferiore a quello nazionale, sfiorando il 10%, questo è da imputare solo al minor numero di studenti che hanno risposto al sondaggio in italiano e al fatto che a Lugano, come è accaduto nel mio caso, si compiono solitamente gli ultimi anni di specializzazione. Ma la realtà che vivo quotidianamente è di un chiaro allarme anche qui».
A rafforzare le parole la presidentessa sottolinea infatti anche come «sul campione intervistato all’Usi, il 28% conferma di avere dubbi sulla prosecuzione degli studi. Un dato dietro cui si trovano diversi problemi».
Necessario dunque affrontare queste criticità. «Innanzitutto c’è il problema dell’orario di lavoro, troppo lungo e con troppe ore extra. L’orario medio in ospedale è di 50 ore. Ma la realtà che vivo anche io tutti i giorni, come gli altri assistenti di medicina in Ticino che entrano in servizio di tirocinio, è di una settimana da 56 ore, mediamente. Questo stress psico-fisico è tra le ragioni del ripensamento della professione».
Un ostacolo che «deve essere superato per garantire un servizio migliore con, potrebbe apparire scontato dirlo, una riduzione delle ore. E anche questo abbiamo chiesto - spiega la Scheiwiller - Le risposte che hanno dato gli studenti dell’Usi e quelli che hanno risposto in italiano al sondaggio indicano in una settimana composta da 40-42 ore di servizio (57%), l’ideale. Disposti a salire da 43 a 50 ore il 39% degli intervistati e solo il 3% accetterebbe una settimana da oltre 50 ore».
Ma sono anche altri gli elementi a sfavore. «Forse si rischia di toccare un vecchio tasto dolente ma non è possibile che la burocrazia imponga ritmi così rallentati a quella che dovrebbe essere la nostra attività di medici - aggiunge Valeria - Ogni giorno si passano più di due ore, in media, a riempire documentazione varia. Tutto tempo sottratto allo studio della medicina e alla pratica sul campo. Capita che si debbano inviare anche con il fax o via mail le diagnosi dei pazienti da un ospedale all’altro. Problema molto grave in Svizzera interna mentre vedo essere leggermente migliore la realtà ticinese».
Rimane comunque prioritario poter leggere il quadro clinico di un paziente «solo facendo un clic, ovunque ci si trovi - spiega la presidentessa - Siamo una generazione cresciuta con pc-tablet e dove tutto viaggia sul web. Scrivere a mano è incomprensibile».
E alla fine rimane una speranza purtroppo venata da una crescente preoccupazione. «Chi inizia a studiare ha davanti a sé almeno sei anni di studi molto impegnativi. Chi lo fa ha un desiderio solo, diventare medico. E questa è la mia più grande ambizione. Non è però possibile dover mettere a rischio tutto quanto per un sistema che non funziona».
La testimonianza
Secondo Lisa*, 30 anni, che ha dovuto lasciare il suo primo incarico a causa di condizioni lavorative non idonee, molti studenti hanno difficoltà a passare dai banchi di scuola alla corsia dell'ospedale. «Come studente non vieni preparato a quella che diventerà la tua realtà quotidiana», racconta a 20Minuten. Quando ha fatto il suo primo tirocinio, gli orari di lavoro sono stati uno shock per lei che si è subito accorta come gli assistenti medici venissero spinti al limite, con sole due persone a coprire un turno di 24 ore.
A Lisa è capitato di dover lavorare per 54 ore in soli tre giorni, vale a dire più di 18 ore al giorno. «L'ideale sarebbe stato avere una giornata di 10 ore, ma io ero responsabile di tutte le emergenze, anche di notte, e avrei dovuto comunque continuare a lavorare la mattina dopo perché non c'era nessun altro».
Fino all'episodio critico. Lisa era in servizio da 23 ore quando, durante una riunione, il suo capo la accusò di non essere ben preparata e si rifiutò di darle supporto nelle ore successive. «A quel punto ho capito: dovevo andarmene in fretta, era pericoloso per tutte le persone coinvolte». Ha quindi cambiato specialità e ha trovato un nuovo lavoro in un altro ospedale.